Parlare, respirare, masticare, assaporare, baciare, sorridere... sono un'infinità le azioni che la bocca ci permette di compiere in ogni momento. Ce ne rendiamo conto quando questo organo "multitasking" è afflitto da qualche disturbo, che rende fastidioso anche il gesto più banale.
Lo sa benissimo quel 10% della popolazione, soprattutto bimbi e donne, che soffre regolarmente di afte, uno dei problemi più frequenti che colpisce le mucose orali, oppure chi si ritrova spesso senza saliva, tanto da far fatica a parlare o chi, ancora, non appena si mette a tavola accusa un dolore acuto, sotto la lingua.
Ecco allora una guida per risolvere in modo efficace tutti i disturbi più comuni e ritrovare velocemente il benessere.
PICCOLE ULCERAZIONI DOLOROSE? SONO LE AFTE
Lievi abrasioni di pochi millimetri, oppure più ampie e profonde, di colore biancastro e circondate da un alone rosso, disseminate su palato, pareti interne delle guance, lingua e/o alla base delle gengive: è così che si manifestano le afte, ulcerazioni dolorosissime delle mucose.
Per molti la loro fioritura è addirittura un appuntamento ricorrente, ma nonostante ciò il meccanismo che innesca la loro formazione è a tutt’oggi poco chiaro. «L’ipotesi più accreditata è che si manifestino nei periodi di forte stress psicofisico e che, anche se non ne sono colpevoli, gli squilibri ormonali, o l’arrivo del flusso mestruale possono agire da fattori scatenanti», spiega il dottor Riccardo Borroni, dermatologo e ricercatore di Humanitas University.
Sia la forma minor (con lesioni più piccole) sia la maior (con ulcerazioni più estese che raggiungono anche il centimetro) non sono contagiose e guariscono spontaneamente: la prima nel giro di 1-2 settimane, la seconda in tempi più lunghi.
«Per alleviare dolore e bruciore si può però ricorrere a gel a base di acido ialuronico, eventualmente associati a un blando anestetico, da applicare prima di mangiare, che creano una sorta di pellicola protettiva», suggerisce il dottor Borroni. «Se le lesioni sono molto profonde, invece, il medico può decidere di prescrivere anche toccature con soluzioni a base di cortisone o di acido retinoico che accelerano la guarigione. Quest’ultime sono però controindicate nei bambini e nelle donne in età fertile».
Fondamentale, poi, curare l'igiene orale. «I denti vanno regolarmente puliti (con uno spazzolino a setole morbide) e, dopo i pasti, è utile effettuare sciacqui con un collutorio a base di clorexidina: abbatte la quota di germi cattivi presenti in bocca, evitando che possano infettare le afte», sottolinea il professor Roberto Weinstein, direttore di Humanitas Dental Center.
Meglio evitare i cibi caldi, acidi, come le spremute di agrumi, quelli piccanti o alimenti duri e che si sbriciolano in bocca, come i crackers: peggiorano la situazione. Utile, invece, bere di più, soprattutto acqua.
«Se le afte si ripresentano frequentemente, nonostante le cure, meglio parlarne con il proprio medico di famiglia: potrebbero essere la spia una celiachia, malattia che rende intolleranti al glutine contenuto in alcuni cereali, o di altre patologie intestinali i cui sintomi possono non essere prontamente riconosciuti», suggerisce il dottor Borroni. «In molti casi bastano alcuni esami del sangue (anticorpi antitransglutaminasi) per far chiarezza e, se la diagnosi di celiachia è confermata, le cure sono di natura dietetica perché consistono nell’eliminazione dei cibi che contengono le farine proibite».
L'HERPES SIMPLEX CAUSA GRAPPOLI DI BOLLICINE
La bocca può essere il bersaglio dell’herpes simplex di tipo 1 i cui attacchi si manifestano con segni inconfondibili: «Guance, palato, a volte la lingua e il bordo del labbro, si coprono di grappoli di bollicine, che si trasformano in breve in microulcerazioni che appaiono come puntini rossastri, molto dolorosi», spiega il professor Weinstein. «L’infezione, detta stomatite erpetica, di solito si manifesta la prima volta da bambini (la massima incidenza è tra 6 mesi e 5 anni) ma può riproporsi nel corso della vita: una volta entrato nell’organismo, il virus rimane latente e colonizza le cellule dei gangli del nervo trigemino che innerva la bocca e l’occhio, pronto a riattivarsi quando le difese immunitarie si abbassano, come dopo un’influenza, in caso di intenso stress, o se si sta a lungo al sole».
Da adulti, il più delle volte l’infezione si limita a colpire il labbro, dando il via alle inconfondibili bollicine. «A volte però si diffonde anche al cavo orale e per curarla occorre ricorrere ad antivirali specifici (a base di aciclovir, prescritti dal medico) che accelerano la guarigione: da applicare sulle lesioni o, nei casi più seri, da prendere per bocca. L’alimentazione deve essere inoltre a base di cibi freschi e semiliquidi», suggerisce il dottor Borroni. «Se la stomatite erpetica è ricorrente, il medico può inoltre suggerire di utilizzare gli antivirali (a dosaggi più bassi) a scopo preventivo», continua l'esperto.
«Attenzione anche alle possibili vie di contagio: per evitare di passare l’infezione ad altri, sino alla guarigione (che avviene nel giro di circa 7 giorni) è importante lavarsi spesso le mani, evitare l’uso promiscuo di asciugamani e di stoviglie e rinunciare a baci ed effusioni, compreso il sesso orale: il virus può diffondersi alle parti intime, dando il via all’herpes genitale», mette in guardia il professor Weinstein.
«Qualche accortezza in più è indispensabile se la malattia colpisce un bebè: il piccolo tende a mettere le mani in bocca per alleviare il fastidio e poi a passarsele sul viso, diffondendo l’infezione e, se si strofina gli occhi, in agguato c’è la cheratite erpetica, una seria infiammazione della cornea. Importante, perciò, accudirlo per evitare che si metta le mani in bocca e consultare subito il pediatra se ha gli occhi arrossati», raccomanda Roberto Weinstein.
LE CHIAZZETTE BIANCHE SONO LA SPIA DI UNA MICOSI
«La bocca è colonizzata dalla flora orale, un micro esercito di batteri tra cui i preziosi lactobacilli, il cui equilibrio è uno scudo naturale contro le aggressioni esterne: l’uso di alcolici e il fumo, ma anche le cure antibiotiche o le malattie possono però mandarne in tilt la composizione e all’interno del microbiota può prendere il sopravvento la candida albicans, responsabile di un’infezione del cavo orale, chiamato mughetto», spiega il dottor Borroni.
«Anche i bebè, soprattutto nei primi 6 mesi di vita, lo contraggono e il contagio avviene di solito al momento della nascita, durante la discesa nel canale del parto. Sia nei piccoli sia negli adulti la micosi si manifesta con chiazzette bianche localizzate sulle pareti interne delle guance che hanno una consistenza simile a quella del latte cagliato e che spiccano nette sui tessuti sottostanti, particolarmente arrossati. Sulla lingua e sul palato può formarsi anche una sottile patina biancastra. Per prevenire l’infezione negli adulti, è utile assumere probiotici ogni qualvolta si effettua una cura antibiotica, evitare il fumo e ridurre il consumo di alcolici. Se la candidosi prende ugualmente il via, la diagnosi è clinica, ma nei casi dubbi, può essere effettuato un test che analizza un piccolo campione prelevato dalle chiazzette bianche. Le cure per risolvere l’infezione poi non mancano: sciacqui con soluzioni a base di antimicotici (prescritti dal medico) che, nei casi più seri, possono anche essere deglutite. Se l’infezione colpisce un bambino, invece, l’antimicotico va utilizzato solo per effettuare toccature sulle lesioni».
LE PLACCHE ISPESSITE VANNO TENUTE SOTTO CONTROLLO
Gengive, lingua e mucose orali sono naturalmente rosate: «Mai sottovalutare, perciò, se in qualsiasi punto della bocca compare una placca di colore diverso, che magari viene percepita anche come una sorta di corpo estraneo o un ispessimento, non doloroso ma fastidioso, soprattutto se non scompare nel giro di 15 giorni», suggerisce il professor Weinstein.
«Va invece fatta valutare dal dentista, dall’otorinolaringoiatra o dal chirurgo maxillo facciale: se la lesione è rossa, per esempio, può trattarsi di un’eritroplachia, mentre se è bianca di una leucoplachia, ovvero di lesioni precancerose legate ad alterazioni della naturale struttura delle cellule delle mucose che, anche se non sono in grado di aggredire i tessuti sottostanti, sono potenzialmente in grado di degenerare in un tumore del cavo orale, eventualità che può verificarsi con una probabilità che va dal 2 al 30% dei casi a seconda del tipo di lesione. A dar loro il via sono spesso i traumi ripetuti: un dente scheggiato che sfrega in continuazione sulla lingua, morsicature ripetute che vengono prodotte involontariamente dai molari sulle pareti interne delle guance, o una protesi che non aderisce correttamente al suo piano d’appoggio, determinando una continua frizione. Proprio per questo, il controllo annuale dal dentista è la giusta strategia di prevenzione per evitarne la formazione o per diagnosticare le lesioni sul nascere. In caso di macchie sospette, lo specialista può effettuare una biopsia: preleva un piccolo campione del tessuto anomalo e lo fa analizzare in laboratorio per determinarne la natura. Se si tratta di una lesione a basso rischio, prescriverà controlli odontoiatrici periodici (ogni 6 mesi, per esempio), mentre se si tratta effettivamente di una forma precancerosa, la soluzione è chirurgica: una volta eliminata la lesione, ambulatorialmente e in anestesia locale, qualsiasi rischio evolutivo è azzerato».
Così previeni i tumori
«In Italia i tumori del cavo orale rappresentano circa il 5% delle neoplasie maligne nell’uomo e l’1% nelle donne», spiega il professor Weinstein. Ma ecco le semplici regole per prevenirli.
- Bandire il fumo: sigaretta, sigaro e pipa aumentano di 4 volte il rischio di ammalarsi.
- Ridurre il consumo di bevande alcoliche: associato al fumo innalza il rischio di 16 volte. In particolare, no ai liquori prima di andare a dormire perché la salivazione di notte si riduce e l’alcol è ancor più tossico per le mucose orali.
- Non usare collutori a base di alcol.
- Evitare il sesso orale con partner occasionali: può essere la via di trasmissione del papilloma virus, responsabile di tumori della base della lingua, oltre a quelli di tonsille e gola, più frequenti tra i giovani di sesso maschile.
- Non sottovalutare eventuali lesioni della bocca solo perché piccole o indolori: oltre alle placche bianche e rosse, devono destare sospetto anche noduli o indurimenti della mucosa, piccole ulcere o escrescenze. In allarme anche se si verificano impedimenti a una corretta masticazione.
BOCCA SECCA? SCOPRI COME PRODURRE PIÙ SALIVA
Avere poca saliva e trovarsi improvvisamente a bocca asciutta: capita facilmente se si è in ansia o particolarmente tesi, ma una volta ritrovata la calma, la salivazione si riattiva normalmente. Diversa la situazione se la sensazione di bocca secca è continua.
Le colpe? «A volte l’uso di farmaci, come gli antidepressivi, che riservano questo effetto collaterale, oppure avere il naso chiuso per un raffreddore o il russare durante la notte: si respira a bocca aperta e il cavo orale si asciuga», spiega il professor Weinstein. «La secchezza delle fauci, però, può essere la spia di altre malattie come il diabete di tipo 2 e la sindrome dell’occhio secco. Se se ne soffre cronicamente, il consiglio è quello di parlarne con il proprio medico. Ripristinare una corretta produzione di saliva è fondamentale: questo liquido ha un potere disinfettante (contiene lisozima, sostanza con azione antibatterica), agisce da detergente naturale e per di più facilita la digestione ed esserne a corto può aprire la strada a disturbi di denti, gengive e mucose. Per questo, anche se non ci sono malattie che ne giustificano la riduzione, è importante evitare di rimanere a bocca asciutta. I trucchi per riuscirci: masticare un chewing gum o una caramella senza zucchero, ridurre l’assunzione di tè e caffè (la caffeina può far seccare la bocca) e di alcolici (causano disidratazione e irritazione), bere frequentemente qualche sorso d’acqua o tenere in bocca un cubetto di ghiaccio, per idratare le mucose».
SCARSA SALIVAZIONE E DOLORE: LA COLPA È DEI CALCOLI
La salivazione può ridursi anche per colpa della presenza di calcoli nelle ghiandole salivari.
«Quelle più colpite sono le sottomandibolari e le due parotidi», spiega il professor Weinsten «Colpa della cristallizzazione di sostanze chimiche presenti nella saliva, prevalentemente carbonato di calcio e in minima parte acido urico, che danno il via alla formazione di perle biancastre molto dure che, con la loro presenza, bloccano in parte il canalino attraverso cui le ghiandole immettono la saliva in bocca. Di solito si formano per colpa di processi infiammatori, facilitati da cattive condizioni igieniche del cavo orale, o da un’alterata composizione salivare che risulta più densa. La spia della loro presenza? Un dolore acuto e un gonfiore nell’area davanti alle orecchie o sotto la lingua, proprio al momento in cui ci si mette a tavola: la fame stimola le ghiandole salivari che, essendo “bloccate”, aumentano di volume e fanno male. I calcoli possono essere espulsi naturalmente e i disturbi si risolvono da soli. Quando non capita, se un’ecografia ne conferma la presenza e il dolore è continuo, la cura è chirurgica», conclude il professor Weinstein.
LA SINDROME DELLA BOCCA URENTE
Un dolore intenso, simile a quello provocato da un’ustione, spesso associato a una sensazione di secchezza che colpisce la lingua, le labbra, le gengive, le guance, il palato o l’intera bocca, senza nessuna lesione evidente che giustifichi i sintomi: «È così che si manifesta la sindrome della bocca urente, disturbo che interessa prevalentemente le donne fra i 50 ed i 70 anni, tanto da far pensare a un collegamento con la menopausa e con la caduta degli estrogeni», spiega il dottor Pizzinelli.
«La patologia, nella sua forma detta primaria, non è però riconducibile ad alcuna causa precisa e non se ne conosce l’origine. Esiste invece una forma secondaria che è conseguente a una ricca rosa di disturbi: dal reflusso gastroesofageo a un’allergia (ai metalli dei vecchi amalgami con cui venivano un tempo effettuate le otturazioni o ad alcuni cibi), da una carenza di vitamina B o di ferro a un malfunzionamento della tiroide, da uno stato d’ansia o a un’iniziale forma di depressione. Vale perciò la pena di parlarne con il proprio medico perché, se c’è una causa identificabile, la sua cura (con una terapia ormonale a base di tiroxina in caso di malfunzionamento della tiroide, per esempio) ridà benessere anche alla bocca. Se la forma è primaria, invece, si può intervenire solo sul sintomo, effettuando sciacqui con acqua e polvere di peperoncino rosso: per il suo contenuto di capsaicina, la spezia anestetizza la bocca e cambia la percezione sensoriale, riducendo il bruciore», spiega il dottor Pizzinelli.
- LEGGI ANCHE: 6 rimedi green per la salute della bocca
Fai la tua domanda ai nostri esperti
Articolo pubblicato sul n. 39 di Starbene in edicola dall'11/9/2018