Pendolini e amuleti per alleviare tensioni muscolari e mal di schiena. Pietre di lapislazzuli per abbassare la pressione, regolare la tiroide e combattere le malattie infiammatorie. Bustine di farina da sciogliere in bocca per combattere lo stress quotidiano. Infusi a base di bicarbonato di sodio contro il cancro.
Il “prontuario” dei sedicenti guaritori si arricchisce ogni giorno di nuovi improbabili rimedi, che spesso smascheriamo anche noi di Starbene nella rubrica “Stop alle bufale!”. Stare al passo con i ciarlatani non è facile, perché la loro fantasia è sconfinata. La loro ultima trovata? Rivendicare l’efficacia delle loro pseudoterapie facendo leva sulle più recenti ricerche scientifiche che dimostrano come l’effetto placebo sia capace di scatenare nel cervello la stessa “tempesta” chimica attivata dai farmaci.
Uno scenario paradossale, in cui serissimi studi nel campo delle neuroscienze vengono usati a sostegno dell’efficacia di fantomatiche cure che di scientifico non hanno nulla.
La scienza rischia dunque di armare involontariamente l’anti-scienza? A porre la questione è il Fabrizio Benedetti, neurofisiologo dell’Università di Torino nonché esperto di fama mondiale dell’effetto placebo.
La certificazione... dell'inganno
Ospite all’Università Statale di Milano per il convegno Essere cittadini tra scienza, sapere e decisione pubblica, promosso dal centro di ricerca Unistem, Benedetti racconta la sua vita in trincea, sotto il “bombardamento” di bufale che gli piovono quotidianamente sulla testa tramite posta o email: dal 1999 a oggi sono quasi 300 le proposte inviate al suo dipartimento da sedicenti guaritori e organizzazioni non mediche di tutto il mondo.
Quello che cercano è proprio una sorta di “certificazione” di efficacia per merito dell’effetto placebo, dal momento che il laboratorio di Benedetti è tra i leader del settore.
Prima della cura occorre sempre la diagnosi
In oltre 20 anni di lavoro, il gruppo di ricerca del neurofisiologo si è immerso nelle profondità della mente umana svelando le sue incredibili capacità di autoingannarsi.
«È ormai dimostrato che la fiducia e le aspettative del paziente accendono i lobi prefrontali del cervello, aumentando la produzione di sostanze oppioidi, come le endorfine, che hanno effetto analgesico. Ed è anche noto che le parole del terapeuta possono accendere le stesse vie biochimiche delle sostanze cannabinoidi», spiega Benedetti.
L’effetto placebo funziona in tutte le malattie dove la componente psicologica è importante, come ansia, depressione o colon irritabile. Esistono poi alcuni individui che sono più suscettibili di altri, perché presentano specifiche varianti genetiche nel Dna o perché hanno il cervello “affamato” di endorfine (i più a rischio dipendenze).
«Per studiare l’effetto placebo ci siamo spinti fino a 5.500 metri sul monte Denali in Alaska: abbiamo scoperto che basta far credere alle persone di respirare più ossigeno, grazie a bombole che in realtà hanno la stessa concentrazione del gas presente all’esterno, per ottenere risposte fisiologiche simili a quelle che si ottengono inalando davvero più ossigeno», racconta Benedetti.
Questo fa capire quanto il potere dell’autoinganno sia una potente arma a doppio taglio. Nelle mani di un medico serio, può diventare un “farmaco” che potenzia le normali terapie, mentre nelle mani di un ciarlatano rischia di trasformarsi in una droga pericolosa. È una questione scottante che mette a rischio la salute delle persone.
«Anche nei momenti difficili, quando si hanno problemi gravi, non bisogna affidarsi a persone non qualificate», ammonisce l’esperto. «E prima di intraprendere una terapia, bisogna aver fatto una diagnosi corretta. Un sintomo può voler dire tante cose: il mal di testa, per esempio, può avere infinite cause, che vanno dalla semplice stanchezza fino al tumore al cervello. Solo un medico è in grado di capirlo».
Nello sport dà più energia
L’effetto placebo funziona anche negli sportivi: «Basta un semplice bracciale che promette di riequilibrare fantomatici flussi di energia, o una sorsata di acqua fresca spacciata per un integratore portentoso, ed ecco che dolore e fatica svaniscono grazie alla produzione nel cervello di sostanze naturali simili all’oppio», spiega il neurofisiologo Fabrizio Benedetti dell’Università di Torino.
«È normale che se lo sportivo è convinto di avere qualcosa che gli dà la carica finisca per spingersi oltre i suoi limiti, perché è come se ingannasse il suo stesso cervello», aggiunge Antonio La Torre, professore associato di scienze motorie all’Università statale di Milano e direttore tecnico della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal).
«Questo effetto placebo influisce soprattutto sulle performance degli sportivi amatoriali, che solitamente hanno maggiori margini di miglioramento, mentre incide meno negli atleti professionisti, che lavorano sempre al limite».
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Articolo pubblicato nel n° 17 di Starbene in edicola dal 9 aprile 2019