C’è chi si tormenta compulsivamente i capelli, attorcigliandoli intorno all’indice o sistemando una frangia ribelle senza mai trovare pace. Ma se toccare la chioma è un tic innocuo, un po’ come camminare avanti e indietro per scaricare la tensione emotiva, può accadere che i capelli vengano tirati e strappati, al punto da provocare la comparsa di zone completamente glabre. «È la tricotillomania, un disturbo psichiatrico dove si avverte l’incoercibile bisogno di strappare i capelli o altri peli del corpo, come ciglia, sopracciglia, barba o peli pubici», spiega la dottoressa Irene Monicelli, neuropsicologa e psicoterapeuta presso il Centro Medico Diagnostico (Ce.Me.Di) di Torino.
«Il cosiddetto pulling, cioè lo strappo intenzionale di peli o capelli non per fini estetici, aiuta a “spegnere” il senso di angoscia che può essere generato da un momento di stress. Il problema è che, alla lunga, questa abitudine può portare alla comparsa di chiazze glabre a livello del cuoio capelluto o di altre aree del corpo, che causano imbarazzo, vergogna e isolamento sociale».
Cos’è la tricotillomania
Il termine è stato coniato nel 1889 dal dermatologo francese François Henri Hallopeau, fondatore della Société Française de dermatologie et de syphiligraphie, che usò il termine “tricotillomania” per descrivere la particolare condizione di un suo giovane paziente, che si era strappato intere ciocche di capelli.
Oggi rientra nelle classificazioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), il principale strumento di diagnosi descrittiva in psichiatria, dove viene chiamato anche “disturbo da strappamento dei peli” (hair-pulling-disorder).
«Nel corso degli anni, la tricotillomania ha cambiato posizione: se prima era classificata come un disturbo del controllo degli impulsi, nell’attuale DSM-5 rientra fra i disturbi ossessivo-compulsivi, insieme per esempio al dismorfismo corporeo, all’accumulo patologico o alla dermatillomania, dove la persona si provoca escoriazioni cutanee a furia di stuzzicarsi la pelle», descrive la dottoressa Monicelli.
Tricotillomania, chi colpisce
Secondo le stime, la tricotillomania interessa l’1,5-2% degli uomini e il 3,5-4% delle donne.
Non esiste un’età fissa di insorgenza, anche se il disturbo tende a manifestarsi soprattutto alla fine dell’adolescenza e nella giovane età adulta, quando il carico di responsabilità aumenta e mette in difficoltà chi non ha strategie abbastanza solide per gestire bene lo stress.
Come si manifesta la tricotillomania
La tricotillomania può avere un andamento altalenante, con periodi di maggiore o minore acuità, oppure può mantenersi costante nel tempo, ma senza mai raggiungere livelli particolarmente critici.
«Strapparsi peli o capelli e magari la sensazione forte che ne deriva, perché il pulling può essere doloroso, innesca un circolo vizioso nella mente della persona», specifica l’esperta. «Se nel breve periodo sembra efficace, perché allevia le emozioni sgradevoli e quindi viene ripetuto, questo comportamento presenta il conto sulla lunga distanza, quando diventano evidenti le problematiche fisiche che ne conseguono, come l’alopecia. A quel punto, la frustrazione e il disagio psicologico aumentano ulteriormente il bisogno di strappare peli e capelli, per cui il disturbo si auto-alimenta e talvolta peggiora».
Per esempio, c’è chi tende a strappare maggiormente i capelli sul lato sinistro o destro, a seconda che sia mancino o meno: alla lunga, per rendere “simmetrico” il problema, potrebbe iniziare a tormentare la chioma anche dall’altra parte, aggravando gli esiti.
Quali sono le cause della tricotillomania
La vera causa della tricotillomania è sconosciuta, anche se di base c’è la difficoltà della persona a gestire gli impulsi emotivi. «Di fronte a situazioni che generano ansia, frustrazione, fastidio o rabbia, questi pazienti non hanno gli strumenti funzionali necessari per tenere sotto controllo l’attivazione emotiva che ne deriva», evidenzia la dottoressa Monicelli.
Da che cosa dipende? «A volte esiste una predisposizione individuale a provare ansia o emozioni molto forti, ma nella maggior parte dei casi contano i modelli che abbiamo intorno e da cui impariamo la gestione emotiva. Non parliamo solamente della famiglia, ma di tutte le figure di riferimento che ruotano intorno ai bambini nel mondo della scuola, dello sport e delle varie attività ricreative».
Come si diagnostica la tricotillomania
La tricotillomania va diagnosticata dopo un’attenta anamnesi del paziente, anche per escludere altre condizioni mediche che possano aver determinato la perdita dei capelli o della peluria.
«Altrettanto importante è individuare le situazioni target che mandano più in crisi e come viene messo in atto il comportamento», tiene a precisare Monicelli.
«In sostanza, il terapeuta cerca di capire in quali situazioni si scatena l’impulso, se peli o capelli vengono strappati con le mani oppure con pinzette o altri strumenti, se ci sono luoghi che innescano maggiormente il problema. Per esempio, ci sono persone che entrano nel bagno e guardandosi allo specchio avvertono l’impulso di strapparsi peli o capelli, altre invece che attuano quel comportamento sul divano, mentre sono sovrappensiero e in completo relax davanti alla tv».
Grazie a queste caratteristiche specifiche, viene strutturato un percorso di trattamento che educa la persona a gestire il problema e abbandonarlo gradualmente.
Come si cura la tricotillomania
«Si può ricorrere ai farmaci quando l’attivazione emotiva, cioè il livello di ansia o depressione, è così elevato da non permettere di accedere alle normali risorse cognitive», racconta l’esperta.
In caso contrario, si procede per gradi: di solito si parte educando la persona alla “consapevolezza”, in modo che si renda conto degli impulsi, di come si manifestano e di cosa determinano in termini di comportamento. «Ci sono persone che riportano di non accorgersi neppure di quando portano la mano verso il cuoio capelluto o il viso per strapparsi capelli o peli, quindi vanno “istruite” affinché diventino più consapevoli di sé», illustra la neuropsicologa. «A quel punto, vengono proposte delle strategie funzionali per gestire le emozioni che, inevitabilmente, tutti proviamo nel corso della vita».
L’importante è che si tratti di soluzioni semplici, immediate e adatte al contesto sociale. Sono le riunioni di lavoro a scatenare l’impulso della tricotillomania? Non si può certo consigliare alla persona di iniziare a saltellare o eseguire strani esercizi davanti ai colleghi, però si potrebbe suggerire di tenere fra le mani una penna, una pallina morbida o un oggetto che distraggano e tengano impegnati. Il problema si concentra invece a fine giornata? Si potrebbe prescrivere dell’attività fisica per scaricare lo stress.
Serve un percorso individuale
I consigli per diminuire l’attivazione emotiva sono pressoché infiniti e vanno stabiliti individualmente.
«Per alcuni soggetti può essere utile il biofeedback, che consiste in un apparecchio indossabile che misura e mostra in tempo reale le nostre attivazioni fisiologiche, come frequenza cardiaca, respirazione, tensione muscolare e così via», semplifica l’esperta.
«Grazie a questo monitoraggio, la persona può rendersi conto di cosa sta accadendo nel proprio corpo, “accorgersi” del suo stato di ansia e riorientare il comportamento, evitando di cadere nella rete della tricotillomania».
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