Da ventisette anni inizia la mia storia “tossica”. Tutto comincia in un periodo in cui sono tranquilla, serena, padrona della mia vita e delle mie scelte. E assolutamente ignara della trappola in cui sto per finire. Il giovane seduttore seriale ha qualche anno meno di me ma sa il fatto suo.
Si avvicina mentre sto lavorando al bancone di un piccolo bar di paese. Spicca in mezzo alla folla per la sua avvenenza e per i suoi modi sicuri. Diventa presto un habitué del locale. Mi studia per giorni, indaga con scaltrezza su di me e sulla mia vita prima di presentarsi, una sera, con la rosa rossa d’ordinanza e un invito a uscire. Perché no?, mi sono detta. Lui poteva essere perfetto per una storia romantica. E così è stato. In brevissimo tempo, conquista la mia fiducia, assecondando i miei desideri più profondi, facendo promesse che navigano nell’illusione. Con lieto finale: nel giro di pochi mesi, andiamo a vivere insieme
A pensarci bene, ma che fretta di fare tutto, di sapere ogni dettaglio di me, di accelerare i tempi per ogni cosa, matrimonio compreso! Ma in quel momento non capto il segnale di allarme. Anzi, scambio quel suo coinvolgimento forte e le sue richieste insistenti come premure d’amore verso di me. Penso di aver incontrato il principe azzurro che ognuna vorrebbe accanto, l’uomo ideale con cui vivere la magia di una relazione speciale.
Lui può fare tutto, io niente
Non posso immaginare niente di quello che poi avverrà. Come un fulmine a ciel sereno, la natura del ragazzo gentile cambia di colpo, le attenzioni svaniscono e lasciano il posto alle umiliazioni. Ciò che l’ha attratto di me diventa motivo di offesa: il trucco, i vestiti, gli amici, la mia famiglia. La mia identità deve essere annullata così come la mia libertà.
Non posso più uscire da sola, non posso sottrarre tempo a noi frequentando altre persone. Devo solo lavorare e poi rientrare a casa a sbrigare le faccende domestiche. La sua parole è legge, altrimenti, dice lui, dimostro di non amarlo abbastanza, di essere una traditrice, di avere strane fantasie per la testa.
La gelosia diventa possesso ma vale a senso unico. Lui può uscire, può frequentare chi vuole, avere anche delle amanti, chissà… non è ammesso né chiedere né farlo presente. Devo stare zitta e obbedire. In pochi mesi mi ritrovo intrappolata in un incubo. Ma non appena provo a staccarmi da lui, a fare presente che il suo comportamento non va bene, eccolo che mi ammalia con finte scuse e gesti mielosi. «Mi comporto così perché ti amo troppo. Ti amo come mai nessun’altra prima».
Consapevole ma senza capacità di reazione
Un’altalena di baci e offese che prosegue per lungo tempo e dalla quale non riesco a sottrarmi. A un certo punto, però, le umiliazioni e i gesti di rabbia diventano sempre più frequenti ed evidenti. Inizio ad avere paura della persona che mi dorme accanto. Vedo la sua follia e la mia sudditanza ma non so che fare, con chi parlare, se parlare. Sono ormai isolata da tutti. Ha fabbricato la paura in me con meticolosità, giorno dopo giorno, così come pure la gabbia dove mi tiene prigioniera, senza lasciare nulla al caso.
Sa che non deciderò mai di andarmene. «Mi ami troppo anche tu», sostiene. Ma c’è una parola che stona nella frase. Lui non prova alcun sentimento per me come probabilmente per nessuna persona. Vuole solo usarli a suo piacere, nulla di più.
Non è riuscito a rubarmi la vita
Quando decido di dire basta, di smettere di sopportare soprusi, di interrompere la relazione, va su tutte le furie. Mi chiude in una stanza e mi mette le mani addosso. Non sta a me decidere di andarmene. Non sta a me decidere niente. Mi porta fino al fondo della dignità, facendo leva sulle mie emozioni, infiltrandosi nelle mie vulnerabilità e facendo suoi i miei punti di forza. Usa contro di me ogni confidenza che gli ho regalato e non desidera altro che distruggermi.
Da quella stanza fortunatamente esco. Con i lividi, le lacrime e tanta paura, ma viva. Lo denuncio e resisto a tutte le sue pressioni. Ai ritorni, ai finti pentimenti, alle recite, ai “cambierò” pronunciati a effetto. Non è facile liberarmi di quest’uomo, perché di fatto le istituzioni non mi aiutano come dovrebbero ma alla fine lui desiste, mi lascia in pace. E io non torno indietro. La violenza non regredisce, aumenta e con l’amore non si può placare. Questo è certo e non bisogna dimenticarselo mai.
I segnali di un legame pericoloso
Il 25 novembre si celebra la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Per l’occasione, abbiamo chiesto a Lorenzo Castricini, esperto in sicurezza personale femminile e prevenzione del rischio quali sono i segnali che devono destare sospetto. «Quando una donna è coinvolta emotivamente in un rapporto, difficilmente identifica nel partner la violenza», dice Castricini. «Eppure le spie che la anticipano sono presenti sin dall’inizio della relazione.
La prima strategia della persona manipolatrice è quella di intercettare una “vittima” empatica e generosa, o che sta vivendo un momento di vulnerabilità, per far leva sulle sue emozioni ed avvicinarsi a lei.
Subito dopo cerca di conquistare la sua fiducia, uniformandosi ai suoi desideri, e la seduce abilmente riservandole attenzioni e complimenti eccessivi mirati soltanto a confonderla.
Accelera, inoltre, le scelte di coppia parlando in tempi brevi di convivenza, o figli, con l’unico scopo di avere il completo controllo. Lei, scambiando tutto questo per interesse, spesso non riconosce le vere intenzioni dell’abusante e si ritrova in breve tempo isolata e soggiogata sotto il suo dominio, dove le lusinghe si tramutano in offese, la gelosia in prevaricazione e possesso».
Un’altra avvisaglia è la fretta dell’uomo di sapere tutto sulla vita della donna, spiega l’esperto «con l’obiettivo di scovare i suoi punti deboli e quindi manipolarla con più facilità. Anche le continue promesse che non si concretizzano mai, rivelano l’interazione con una persona perversa e inaffidabile».
Uno dei migliori indicatori, comunque, è sempre l’intuito. «Spesso stando accanto a una persona a rischio e assecondando le sue richieste, si può avvertire una sensazione di disagio senza comprenderne l’origine. È bene non sottovalutarla, bensì prestarle particolare attenzione, per distaccarsi e ragionare con lucidità».
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Articolo pubblicato sul n. 49 di Starbene in edicola dal 20/11/2018