Stress, come non farsi contagiare dalle persone negative

Si trasmette come fosse una malattia infettiva e causa danni anche solo a “respirarlo”, come il fumo passivo. Occorre proteggersi. E dare una mano (con le dovute cautele) alle persone care sempre sotto pressione



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Stai lontano dalle persone negative, hanno un problema per ogni soluzione. La frase, attribuita a Einstein, non è solo un consiglio per chi ha a che fare con individui perennemente stressati (a ragione o a torto), ma per gli esperti ha un fondamento scientifico, e quindi il contagio fra un non angosciato e uno che lo è può avvenire, in certe condizioni.

«Come esiste il fumo passivo c’è anche uno stress che subiamo, e questo meccanismo si attiva a livello cerebrale tramite i cosiddetti neuroni specchio», spiega Terenzio Traisci, psicologo del lavoro, formatore, scrittore e consulente di Starbene. «Queste cellule cerebrali sono state scoperte nel 1992 da uno scienziato italiano, Giacomo Rizzolatti, e hanno il potere di rispecchiare quello che noi vediamo o sentiamo dai nostri interlocutori. Grazie a queste strutture neuronali l'umore della persona che ci sta davanti riflette dentro di noi, diventando una sorta di replica di quello che vediamo, facendoci provare le stesse sensazioni e stati d’animo».

Per capirci, l’effetto è quello che sentiamo quando guardiamo un film commovente o un horror: piangiamo o ci spaventiamo,  chi più, chi meno. E funziona anche senza il potere della vista, perché i neuroni specchio usano persino l’udito: quindi, il contagio può avvenire tramite la voce, un ottimo trasmettitore di emozioni.


La forza della negatività

Dunque, quando la nostra amica riversa su di noi tutti i suoi guai al telefono o all’aperitivo, si attiva la “stessa" area cerebrale, nel contagiante e nel contagiato. «Le notizie negative, gli stati d’animo più spiacevoli e lo stress nocivo influenzano anche le persone di solito positive e proattive perché il nostro cervello per istinto di sopravvivenza dà la precedenza ai potenziali pericoli», sottolinea Traisci.

Intendiamoci, questo per fortuna avviene anche in positivo: una persona di buon umore può contagiare una stressata, ma farà più fatica, non solo per il tipo di interlocutore, ma perché il messaggio “buono” non viene ritenuto così prioritario dal nostro sistema nervoso. Non a caso sono sempre le notizie cattive a finire nei titoli di prima pagina, una strategia giornalistica che viene dall’esperienza sul pubblico, ma anche dalle neuroscienze.


Aveva ragione Einstein

Torniamo per un attimo al consiglio del padre della relatività. «Jim Rohn, celebre formatore americano, dice che noi siamo la media delle cinque persone che frequentiamo più spesso», spiega lo psicologo. «Quindi, se ci accompagniamo soprattutto a persone positive possiamo diventare come loro. Noi abbiamo l’opportunità di scegliere da chi farci contagiare, per esempio da individui più bravi di noi a gestire lo stress, fornendogli più attenzione e frequentandoli di più».

Questo esercizio, valido per stressati e non (e che non vogliono diventarlo) si può fare anche tramite web guardando i video, ma pure leggendo il pensiero positivo di molti autori su carta. Insomma, guardare e ascoltare chi gestisce meglio lo stress ci aiuta ad affrontare meglio i nostri e gli altrui pensieri negativi. È solo questione di fare una cernita fra persone, video e letture.


Come accorgersi del contagio

Il problema è che non possiamo scegliere sempre chi frequentare e chi no. Perché è un familiare, perché divide con noi le lunghe giornate di lavoro, perché lo vogliamo aiutare davvero. Però, per quanto positivi siamo, la scienza dice che alla lunga c’è il rischio di assimilare il “fumo” dello stressato, cadendo noi stessi nell’umor nero.

Come facciamo ad accorgercene per tempo e quindi a reagire? «I primi campanelli d’allarme stanno nell’iniziare a usare lo stesso linguaggio di chi supportiamo o sopportiamo», sottolinea Traisci. «Innanzitutto introducendo sempre di più, nel nostro vocabolario quotidiano, la parola stress. Sono stressato, che stress… si comincia così e si arriva a “che fatica”, “sono stanca, non ne posso più”, “ce n’è sempre una”, fino a “questa situazione è un inferno” o “lo stress mi sta uccidendo”. A un certo punto anche le domande diventeranno tipiche del perenne sfortunato: “perché capitano tutte a me?”. È il meccanismo della generalizzazione negativa: il cervello, sotto stress, inizia a lavorare in modo ristretto, e semplifica i concetti privilegiando quelli negativi, più facili e immediati, come una notizia». È il momento di agire.


I tre stratagemmi per non subire le persone negative

Che fare in questi casi? I consigli si possono applicare a noi stessi ma anche all’amica stressata.

«Il primo sta nel passare da un concetto generale a uno particolare», spiega l’esperto. «Bisogna uscire dalla generalizzazione negativa riportando il discorso alla realtà delle cose, all’oggettività della singola situazione. Quindi, anziché chiedersi “perché tutte a me” (che ha come unica risposta “perché sono sfortunata”) occorre guidare il nostro cervello verso la soluzione e verso ciò che dipende da noi, dal nostro impegno, al fine di recuperare proprio quel senso di controllo che lo stress nocivo ci fa perdere. La domanda più utile pertanto è: “Cosa posso fare ora di semplice per cambiare la situazione?” trasformando le domande da perché a cosa o come».

Secondo stratagemma: anche se Einstein suggeriva di scappare dalle persone negative, in realtà evitarle consuma altrettanta energia, soprattutto in certi ambiti obbligati come il lavoro e la famiglia. «Allora è meglio prepararci a questi incontri: “in che stato d’animo voglio sentirmi?”, sapendo che non potremo tapparci occhi e orecchie sempre? Adottiamo un approccio sereno in primis per noi, focalizzandoci sui lati positivi dell’altro (sicuramente ne troveremo, non siamo mica persone negative noi, giusto?). Questo serve come cuscinetto per quello che arriverà», dice Traisci.

Terzo stratagemma: chiediamo noi aiuto. È il trucco dei bambini che vedono i genitori litigare e, creando loro un problema contingente, spostano l’attenzione dalla coppia al figlio.
«Se invece di spremerci le meningi e bruciare energie per aiutare quella persona (che il più delle volte non vuole farsi aiutare) ribaltiamo la situazione e prendiamola in contropiede chiedendo noi (che stiamo bene) aiuto o un consiglio, facciamo una mossa controintuitiva che può rivelarsi vincente. “Ho bisogno del tuo parere oggi perché sei l’unica persona in grado di aiutarmi”; “cosa mi consigli di fare?”: se aiuti qualcuno l’organismo rilascia un neuro-ormone che si chiama ossitocina e che fa sentire più coraggiosi e rilassati. Il bello di questo meccanismo chimico è che scatta sia se sei tu a portare aiuto sia che lo ricevi».

Nella maggioranza dei casi, perciò, lo stressato in questione si sentirà importante e investito di un dovere di aiuto, distraendosi, sentendosi meglio e, per una volta, utile agli altri, quindi anche considerato. L’effetto prorompente dell’ossitocina sarà sulla percezione dei propri problemi, che sembreranno più affrontabili.


Da non dire e da non fare

Esistono anche degli errori che dobbiamo evitare se vogliamo aiutare lo stressato in crisi. «Innanzitutto mai fare le crocerossine», avverte Terenzio Traisci.

«Sostenere le persone fino allo stremo delle forze, soprattutto quelle che per prime non vogliono essere aiutate ma solo compatite, brucia energie e stressa anche noi, perché assorbiamo negatività. Anche perché, se ci pensiamo: più siamo la stampella di qualcuno e più questi diventa forte o si indebolisce? Al contempo, anche minimizzare il problema invece di comprenderlo fa arrabbiare l’altro, e ci può eliminare dalla lista degli interlocutori papabili, cosa che ci mette fuori gioco se vogliamo o dobbiamo davvero aiutare. Inutile e dannoso poi sottolineare l’errore che ha portato alla situazione di stress. Meglio dire “capisco cosa provi e cosa possiamo fare ora per iniziare?”. In questi casi, esauriti gli strumenti fai da te che abbiamo consigliato, l’ulteriore approdo deve essere, appunto, un bravo terapeuta. Chi vive davvero male e subisce lo stress, prima o poi accoglierà questo determinante aiuto tecnico».


L'esercizio "buttafuori" da praticare insieme

Proviamo a eseguire un esercizio in coppia con l’amico stressato. «Anche se di solito si dice “fai un bel respiro” per rilassarsi, in realtà se non sappiamo effettuare la respirazione diaframmatica o praticare lo yoga, il flusso del respiro spesso diventerà solo toracico e così, oltre a portare poca aria e indolenzimento alle spalle, attiverà il sistema d’allarme dello stress», avverte il formatore.

«Invece l’aria dobbiamo buttarla fuori, come se volessimo fare un grande sbuffo, un uff prolungato e ripetuto, soffiando. Così facendo in automatico sollecitiamo il diaframma, quando prendiamo aria ampliamo i polmoni nella parte bassa e più larga della cassa toracica, portando la quantità di aria necessaria nel modo corretto. Una tecnica rilassatoria che, se praticata in due, può portare anche a una sana risata liberatoria».


No, questa è ansia

L’ansia va distinta dallo stress. «È una risposta fisiologica anticipatoria collegata a qualcosa che potrebbe avvenire o è avvenuto in passato, e che temiamo possa riproporsi», spiega Terenzio Traisci. «Dipende dalla nostra percezione di ciò che ci verrà richiesto e le nostre risorse per far fronte alle richieste. È quindi una sorta di paura anticipata del pericolo che arriva a bloccare la persona. Lo stress invece è una risposta a uno stimolo esterno che può diventare cronico ma, prima che questo accada, si può ampiamente imparare a gestirlo. Se lo stress si riferisce alla nostra reazione quando siamo sotto pressione, l’ansia si riferisce ai nostri sentimenti riguardo a quella reazione. Lo stress solitamente è causato dall’esterno, mentre l’ansia dall’interno. Il primo viene solitamente vissuto nel presente, mentre la seconda vive nel futuro».


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