Ne soffriamo più noi dei colleghi europei: il 27% contro il 22%. Ed è un problema dalle molte facce perché lo stress da lavoro si manifesta con sintomi che vanno dalla spossatezza costante al mal di testa, dall’insonnia alla gastrite, dagli sfoghi cutanei ai disturbi alimentari (lo stomaco si chiude e si dimagrisce oppure si mette su peso cercando conforto nel junk food). Per non parlare della fatica mentale di alzarsi la mattina e della mancanza di motivazione a iniziare la giornata.
Tutta colpa dell’attività lavorativa: secondo i dati Istat, carichi eccessivi e tempistiche pressanti sono tra i principali fattori di rischio psicologico. Quelli che ti fanno vivere male, che generano ansia e che, se trascurati, possono sfociare in una e vera e propria depressione, ma che si possono affrontare con le opportune strategie, come ci spiega la dottoressa Stefania Ortensi, psicologa del benessere esperta nella gestione del rischio da stress lavoro-correlato.
Insieme abbiamo individuato alcune delle situazioni più comuni che ti fanno sentire costantemente sotto pressione e a disagio, dalla gestione degli incarichi al rapporto con superiori e colleghi. Ti senti intrappolata, come nel “giorno della marmotta”, a rivivere quotidianamente situazioni e dinamiche ansiogene? Qui la nostra esperta ti spiega come fronteggiarle con successo.
Troppo lavoro? Pianifica gli obiettivi e procedi per step
Fermo restando che le richieste siano effettivamente sostenibili e realistiche, se hai la percezione che carico e scadenze vadano al di là delle tue forze, fai un bel respiro e procedi per step. «Ricorro spesso a questa metafora: “come si fa a mangiare un elefante? Un pezzetto alla volta”», esordisce la psicologa. «In pratica significa scomporre l’attività da svolgere in piccoli passi, partendo dall’impegno più gravoso per suddividerlo in fasi intermedie, sempre più semplificate. Automaticamente si traccerà una sorta di “via” verso l’obiettivo finale, che renderà tutto più gestibile. Dopo averlo così scalettato, seleziona i to do per la giornata ed elencali in base alla priorità. Una pratica che dà immediatamente ordine mentale e che permette di attribuire anche la scadenza temporale».
Ti accorgerai, con la lista sotto gli occhi, che ci sono margini per una migliore organizzazione: magari potrai eliminare qualcosa, per esempio delegando, oppure posticipando o ancora chiedendo collaborazione. «Occorre comunque garantirsi una certa flessibilità: se non riesci a spuntare tutte le voci dell’elenco, il giorno dopo partirai, senza drammi, dall’arretrato », rassicura la dottoressa Ortensi.
Liberati del multitasking
Finalmente siamo tornati alla saggezza dei latini, perché hic et nunc, il qui e ora, vale quanto mai. «Significa che bisogna rifarci a quella che in psicologia si chiama monoidea. Vogliamo fare i moderni? Chiamiamola single tasking, cioè il focalizzarsi su un’attività per volta», sottolinea l’esperta.
Detto così sembra semplice, ma in realtà veniamo da abitudini consolidate che, in questi anni, ci hanno costretto a essere performanti su più fronti. Ecco cosa consiglia la dottoressa Ortensi: «Darsi le priorità, ti aiuta a concentrarti sull’obiettivo, senza disperdere l’attenzione. Quindi compiti in serie, non in parallelo, perché è ormai provato che il multitasking è inefficace. Sarai più veloce ed efficiente, riducendo anche la possibilità di errori e, grazie al riscontro immediato della spunta dalla lista, eviterai la sensazione di inadeguatezza».
Rinuncia al perfezionismo
Una delle cause alla base dello stress è il sentirsi inadatti al ruolo, non all’altezza, che certo può dipendere da un’insicurezza di fondo ma che può anche emergere quando si pensa di non riuscire a concludere nei tempi richiesti tutti i compiti, che ci appaiono come una montagna che sta per franarci addosso.
«Anche in questo caso si affronta l’incarico un passo alla volta, con un’attenzione in più, quella di rinunciare al perfezionismo. Atteggiamento che in psicologia viene descritto come “maladdativo”, cioè che ci fa male. Devi accettare la possibilità che le tue prestazioni siano al di sotto del tuo livello ideale, consapevole che questo non cambia il valore di te come persona, valore che va al di là del risultato o di quanto prodotto», chiarisce l’esperta.
Se il capo è un “boss” e non un leader
È presto detto: il leader lavora insieme ai suoi collaboratori; il boss fa leva sulla sua posizione anche per scaricare parte dei suoi impegni sui sottoposti. Nel mezzo tutta la gamma di manager che, trovandosi in una posizione di comando, hanno aspirazione di leadership ma, non riuscendo, ricorrono al ruolo gerarchico per imporsi di autorità, facendo ricadere sul team l’incapacità organizzativa ma anche la frustrazione e il carico emotivo che ne derivano. Ed ecco il picco dello stress!
«Occorre stare alla larga da quelli che vengono definiti “vampiri energetici”, persone che “succhiano” agli altri energie e risorse; frapporre una distanza emotiva grazie all’alleanza tra colleghi, per affrontare insieme il clima negativo, e anche poter contare su qualcuno di più affine, per sensibilità e interessi, per lo sfogo alla macchinetta del caffè che sì, è psicologicamente salutare. Inoltre, devi avere consapevolezza del tuo ruolo e degli incarichi che ti competono così, quando il capufficio tende ad approfittarsene ma non sei nella condizione di rifiutare, hai tutto il diritto di portare a termine il compito come supporto, stabilendo limiti di investimento in tempo ed energie», sottolinea l’esperta.
Altrimenti ricorri alla capacità assertiva, per dire no motivandolo con dati concreti: elenco degli incarichi già assegnati, eventuali criticità, scadenze pregresse. Evita il “non ce la faccio” che ti mette già in una posizione difensiva, perché è come ammettere che tu, “soggettivamente”, non sei in grado. «Di fronte a una richiesta, soprattutto in ambito lavorativo, ci si sente spesso in difetto, anche a fronte di un comprovato valore professionale», afferma la psicologa.
Se il collega non perde occasione per sminuirti
Magari lo fa per apparire migliore, per primeggiare perché aspira a fare carriera o per banale invidia. Anche in questo caso, prendi le distanze e cerca la collaborazione dei colleghi per isolare l’elemento molesto.
«È importante crearsi una sorta di corazza che rende impassibili ai commenti sgradevoli, a critiche o polemiche. Ironizzare poi funziona sempre, meglio se ad alta voce e coinvolgendo anche il resto dell’ufficio. Quando però non c’è questo clima di complicità, consiglio di farlo da soli, interiormente. In quel self talk mentale che ti aiuta a sminuire l’impatto emotivo: “ecco ci risiamo, adesso inizia”, “il solito esagerato”, “prepariamoci alla luna storta”», afferma la dottoressa Ortensi. «Soprattutto non rispondere alle provocazioni, per non alimentarle, spesso l’obiettivo di questi soggetti».
Insomma, sii superiore e poi sfogati in pausa con l’amica di scrivania. Quando poi rientri a casa, non tenerti dentro la frustrazione per non aver reagito: liberati di quello che avresti voluto dire davanti allo specchio, tra te e te. Sii convinta: l’hai fatto per scelta, giocando d’astuzia.
Impara a dire no
Mente lucida ed emotività sotto controllo, ricorri alla tecnica del sandwich che si traduce in “più-meno-più”, come i 3 strati del tramezzino.
«Si esordisce con un approccio positivo (ti ringrazio per avere pensato a me per questo incarico; mi interesserebbe molto ma…) per arrivare al no (al netto degli impegni che ho, non riesco a farmene carico) e concludere sempre con un’apertura per il futuro (in un altro momento, più che volentieri; spero per la prossima volta di essere in grado di…)», consiglia la psicologa. «È un rifiuto argomentato e professionale, che dà comunque l’impressione di aver compreso la necessità e stempera quella che potrebbe essere percepita come una volontà di scontro».
Fai la tua domanda ai nostri esperti