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Psicologia Strategica e insonnia: 3 regole per imparare a dormire

A volte quando non si riesce a dormire bene si mettono in atto strategie che, anziché risolvere il problema, lo cronicizzano. I consigli dello psicologo per “disinnescare” l’insonnia



Viviamo in un’epoca in cui la frenesia è un valore assoluto: più cose si fanno meglio è, quindi, di pari passo, l’importanza del sonno è vista come una perdita di tempo, quasi da evitare. Però, se la dormita si nega, a tratti o troppo spesso, ce ne accorgiamo, e senza mezzi termini la mettiamo dritta dritta nella categoria “problema importante”.

Quando dormiamo, infatti, accadono moltissimi processi organici e psicologici necessari per poter svolgere tutte quelle attività con cui riempiamo le nostre giornate. A livello fisico, possiamo sintetizzarne i benefici affermando che il sonno viene considerato il più potente elisir di lunga vita attualmente disponibile.

Sotto il profilo mentale, dormire migliora la memoria e l’apprendimento, riduce ansia, paura, irritabilità, rabbia e tristezza, alza il tono dell’umore e la capacità di affrontare gli eventi avversi. Nonostante questi guadagni di vitale importanza, spesso però le persone finiscono per ridurre le notti a una manciata di ore di dormiveglia e per trascinare le giornate in un annebbiamento persistente e cadaverico.

Starbene, questa volta, ha affrontato l’insonnia – che nel mondo colpisce un adulto su 3 – attraverso i consigli di Fabio Leonardi, psicoterapeuta, che nel suo recente libro Imparare a dormire (Ponte alle Grazie) ci offre una tecnica per sbloccare gli ostacoli psicologici che ci intrappolano in una veglia semicontinua.


Professor Leonardi, quale è la reazione mentale dell’insonne?

Non dormire a sufficienza genera stanchezza, irritabilità, ansia, flessione del tono dell’umore, fatica a mantenere attenzione e concentrazione, compromissione della memoria. Ma come dimostrano diversi studi, le difficoltà possono variare da individuo a individuo perché dipendono molto dal nostro atteggiamento.

Gli insonni che evitano di parlare del problema e che non lo considerano un elemento centrale e caratterizzante della loro vita, soffrono meno di questi disagi durante la giornata; viceversa, coloro che si lamentano tanto arrivano ad averli in misura più marcata. La cosa più curiosa è che la ricaduta negativa della lamentela avviene anche in chi crede di essere insonne quando in realtà, senza rendersene conto, dorme.


In cosa si sbaglia durante la notte?

A sforzarsi di dormire a tutti i costi, sforzo che aumenta di intensità man mano che ci si rende conto che il sonno non arriva. Un altro errore è ricercare in modo compulsivo la posizione più comoda, quando in realtà è possibile dormire in qualsiasi modo. Inoltre, praticamente sempre, chi non dorme è assalito da pensieri che prova a scacciare, ma siffatto tentativo aumenta ancora di più l’intensità di quegli assilli che si vorrebbe eliminare (paradosso del pensiero).

Poi, c’è tutta la serie degli imperativi categorici “fallimentari” che l’insonne si dà: mi devo rilassare (in realtà, mi agito ancora di più); mi devo stancare per dormire (se fosse vero non esisterebbe l’insonnia, dato che gli insonni soffrono di stanchezza cronica); rimango alzato ad aspettare il sonno oppure mi alzo e faccio cose utili (si traduce solo in una maggiore attivazione cerebrale che tiene oltremodo svegli).


Qual è l’importanza del nostro atteggiamento nella soluzione del problema?

Più che di atteggiamento, parlerei di assetto mentale. Di capitale rilievo poiché dormire significa indursi mentalmente uno stato di coscienza particolare. Questa capacità è, con ogni evidenza, una capacità psicologica. Tutti gli esseri umani, nel corso del loro sviluppo, apprendono in modo implicito a fare questa cosa, alcuni con più fatica, altri con meno.

A volte, tuttavia, le vicende della vita (come lo stress) e alcuni errori (già descritti sopra) possono far perdere questa facoltà, che va dunque ripristinata lavorando proprio sull’assetto mentale con cui si affronta la notte. Le stesse Linee Guida europee e americane indicano con chiarezza e senza equivoci che i trattamenti elettivi dell’insonnia sono quelli psicologici.


Da dove inizia la riorganizzazione del sonno?

Dal metabolizzare un fatto oggettivo e incontrovertibile: non è possibile addormentarsi a comando ma possiamo metterci solo nelle condizioni migliori per facilitare questo momento. Per riuscirci ci sono tre semplici regole da seguire, che riattivano la tendenza fisiologica, presente nel cervello di ogni essere umano, a entrare spontaneamente in uno stato di sonno per circa un terzo delle ore della giornata. Il compito di questi “precetti” è quello di bloccare quei meccanismi che, in maniera inconsapevole, producono lo stato di insonnia.


La prima regola è?

Fare quello che umanamente è possibile, cioè coricarci solo con l’idea di riposarsi, e non di dormire. E il massimo riposo si favorisce in tre passaggi: puntare la sveglia a distanza di sette ore, spegnere la luce e mettersi distesi nel nostro letto, a occhi chiusi. Così ci diamo un obiettivo realistico (il riposo dipende solo dalla nostra volontà e siamo noi a deciderlo se e quando); realizziamo pienamente le nostre aspettative (ci sentiamo soddisfatti perché in effetti non c’è meglio di questo per riposare); riusciamo a essere efficaci (si creano le migliori condizioni psicologiche e ambientali per dormire).

A questo punto, il sonno arriverà effettivamente per tutta la notte, o solo per qualche ora, oppure per niente. Ma non dipenderà più da ciò che facciamo o non facciamo, spezzando la frustrazione dell’attesa di dormire che genera quell’irrequietezza mentale alla base dell’insonnia.


Mentre la seconda?

Ancora più semplice: non c’è niente da fare per dormire. Anche se stiamo svegli tutta la notte si deve rimanere a letto, totalmente passivi, con gli occhi chiusi, nell’indefinita attesa del suono della sveglia. Qualsiasi tipo di azione, anche solo guardare l’ora, non è solo inutile e ingenua ma pure dannosa perché il “fare” implica di aumentare lo stato di veglia e di allontanare il sonno. È lì che si crea l’inghippo, tutto quello che si fa per dormire genera insonnia.


Per ultimo, invece…

Al suono della sveglia ci si deve alzare subito dal letto; e da quel momento, si rimane svegli, evitando pisolini e di usare il letto finché non ci si corica di nuovo la sera, dopo circa 16-17 ore. Anche se ci sentiamo degli “stracci” durante la giornata, diamoci un pizzicotto e teniamo gli occhi aperti. L’unico modo che abbiamo a disposizione per normalizzare il sonno è quello di agire sullo stato di veglia, alterarla con riposi fuori tempo amplifica il problema.


Ma il sonno arriverà, prima o poi?

Non si deve pensare che mettere in pratica questa tecnica di Psicologia Strategica faccia automaticamente dormire, altrimenti ricadiamo nella trappola insita nell’attesa di addormentarsi. Come efficacia contro l’insonnia, si tratta di “tirare i fili giusti”, cioè adottare quei processi mentali che, a loro volta, rendono più alte le probabilità che il sonno arrivi. Se applicate con costanza, comunque, le tre regole possono aiutare a dormire anche nel giro di pochi giorni, come è successo a migliaia di persone.

Per alcune, arriveranno 7-8 ore di sonno, per altre ci sarà un riposo minimo, ma comunque sarà il massimo che una persona può decidere intenzionalmente di avere. La Psicoterapia Strategica serve a non affrontare l’insonnia con una serie di comportamenti negativi, che hanno solo l’esito di trasformare un problema temporaneo e fisiologico in un disturbo cronico e patologico.


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