di Giulia Trabella
Al lavoro ti spendi al 100% ma hai la sensazione che nessuno se ne accorga? Non sei sola: secondo la più recente indagine europea sulla qualità della vita, realizzata dall’agenzia comunitaria Eurofound, circa un quarto degli italiani sente di non ricevere sufficiente riconoscimento professionale.
Peccato, perché si tratta di uno dei fattori motivanti, insieme alla responsabilità e alla possibilità di carriera per fare qualche esempio. «Se il riconoscimento latita, rischi di vivere la tua professione come una mera fatica», mette in guardia Raffaella Toniolo, psicologa del lavoro, coach e formatrice. Con il suo aiuto, vediamo dunque in che cosa consiste e se è possibile sollecitarlo.
NON È UN CAPRICCIO
Quando ti inserisci in un contesto relazionale, succedono due cose: cerchi di “aggregarti” e, allo stesso tempo, di differenziarti ed essere riconosciuta come unica. «L’ambito lavorativo non fa eccezione», spiega Raffaella Toniolo. «Il bisogno che qualcuno si accorga che ci sei e che il tuo apporto ha validità è legittimo e ti appartiene come essere umano. Insomma, non è “un di più”, un capriccio narcisista.
In genere, nelle aziende più attente al capitale umano si tengono incontri periodici proprio per soddisfare questa necessità, oltre che per aggiustare il tiro se le cose non funzionano come dovrebbero. Purtroppo, però, in Italia non sono ancora la norma». Ci sono persone che necessitano di essere valorizzate più di altre? «Sì, dipende dalla maturità emotiva e dal livello di autostima raggiunti da ciascuno.
Magari tu hai bisogno di un riconoscimento professionale continuativo per poterti sentire sicura e per dare serenamente il tuo contributo, mentre la tua collega è più indipendente rispetto alle conferme esterne e capace di autogratificarsi una volta raggiunti i suoi obiettivi».
DIPENDE DAL CAPO CHE HAI
Come si diceva poco fa, anche se ti impegni e consegui buoni risultati, non è detto che tu ottenga un riconoscimento. Perché? «Dipende dalla visione del tuo referente», risponde la psicologa e coach. «Se è convinto di essere responsabile di persone che amano lavorare, che non lo fanno solo per lo stipendio ma anche per crescere al meglio delle proprie possibilità, non avrà difficoltà a elargire rinforzi positivi come elogi e premi.
Se, al contrario, pensa di essere a capo di un manipolo di scansafatiche o di persone che lavorano esclusivamente per avere un guadagno economico, difficilmente ti dirà “Brava!”, ma tenderà a preferire parole e atteggiamenti autoritari e/o punitivi.
I capi avari di incoraggiamento sono di due tipi: quelli incapaci di riconoscere valore e contributo altrui e quelli che non vogliono farlo. Questi ultimi sono i più pericolosi perché mirano a intaccare la dignità personale dei sottoposti. E il mancato riconoscimento, deliberato e protratto nel tempo, può essere il primo passo verso il mobbing, cioè una forma di violenza tanto subdola quanto feroce».
PUOI RICHIEDERLO COSÌ
«Come sollecitare il riconoscimento, quando tarda ad arrivare? In un modo molto semplice, che non significa facile da attuare: devi chiederlo», rivela la nostra esperta. «Evita però di prendere il tuo referente alla sprovvista, domandandogli di punto in bianco “Sono stata brava?” o “È contento di me?” quando lo incontri alla macchinetta del caffè. Piuttosto, fissa un appuntamento con lui, specificando che hai bisogno di un confronto sul tuo contributo in azienda.
Perché non è facile? Perché il feedback che ottieni potrebbe non essere positivo come immagini (“Da lei ci aspettavamo di più”), quindi devi essere pronta a gestire un’eventuale situazione spiacevole. Purtroppo, la strategia della richiesta non funziona con un superiore che non vuole o non è in grado – per visione oppure per incapacità, vedi sopra – di darti quello di cui hai bisogno: confrontarti con lui sarebbe come parlare con uno straniero che non capisce la tua lingua!».
E SE NON FUNZIONA, PROVA IL PIANO B
«Quando sbatti contro un muro di gomma, non ti resta che fare affidamento sulla tua autostima: quando è sufficientemente forte, ti permette di autogratificarti per l’impegno profuso e i risultati ottenuti» afferma Toniolo. «Comunque, condividere i tuoi successi con familiari, amici e colleghi aiuta a sopravvivere in ambienti duri e aridi. Confidati con chi vuoi, basta che siano persone empatiche e significative per te: un elogio ha molto meno valore, se lo ricevi da qualcuno che è incapace di condividere veramente la tua soddisfazione oppure che ti è totalmente indifferente».
QUANDO LA LODE È COMPITO TUO
E se fossi tu a non dare il giusto riconoscimento a chi se lo merita? Prima di liquidare la provocazione obiettando “Ma io non sono un dirigente d’azienda, un responsabile di reparto o un capo-progetto!”, pensa a chi lavora quotidianamente per te: la badante dei tuoi genitori, la maestra di tua figlia, il tuo istruttore di fitness... Sai gratificare queste persone per il loro impegno e i loro risultati? La psicologa del lavoro e coach Raffaella Toniolo ti spiega come evitare errori.
1. Non aspettare un’occasione particolare per ringraziare una persona del suo lavoro. Un giorno vale l’altro, anzi: un po’ ogni giorno è l’ideale.
2. Non eccedere con i complimenti: potresti sembrare falsa o desiderosa di raggiungere un secondo fine.
3. Non sottovalutare l’effetto di un riconoscimento dato in pubblico: se elogi qualcuno in privato rafforzi la stima che ha di sé, ma se lo fai davanti a terzi aumenti anche la sua stima sociale.
4. Non limitarti alle parole: un gesto affettuoso come un abbraccio, oppure un piccolo dono simbolico, rappresentano valide aggiunte tangibili.
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Articolo pubblicato sul n. 23 di Starbene in edicola dal 24/05/2016