La scrittrice Paola Mastrocola è in libreria con un il Diario di una talpa (La nave di Teseo,18 €), racconto giornaliero di quella vita da segregati per via del Coronavirus. Come di talpe che vivono sottoterra, non vedenti e solitarie. Da questa condizione anomala, che può trasformarsi inaspettatamente in una risorsa, la scrittrice parte per riflettere sul futuro, se avremo imparato qualcosa di diverso o se questa è stata solo una talpitudine “forzata”. I proventi dei diritti d’autore saranno devoluti alla ricerca sul Covid-19 condotte dalla Fondazione Humea. Ecco l'intervista che l'autrice ha rilasciato a Starbene.
Paola, ci spiega chi è la talpa?
È un animale nascosto, che vive sottoterra, al buio. Noi talpe vere stiamo nella nostra tana e usciamo solo per stretta necessità. A pensarci bene, è una condizione esistenziale che nessuno sceglierebbe, se non ci viene data per natura.
Si tratta di una specie particolare, quindi...
Un tempo, e parlo di molti anni fa, eravamo un po’ tutti delle talpe: in fondo, le giornate si dividevano tra casa e lavoro, niente uscite, vacanze, ristoranti. Adesso, la stragrande maggioranza delle persone aborrirebbe una vita appartata, totalmente controcorrente rispetto all’iper socialità che comanda le nostre esistenze: ormai non ci sfugge occasione per mescolarci h24 con la gente, dal pranzo con i colleghi di lavoro alla palestra alle cene di gruppo. La specie autentica di talpa, invece, sta benissimo da sola, e non fa niente per essere diversa.
Si sente strana o a disagio a stare sempre sottoterra?
Macché, vedendo poco o niente, la talpa non ha il confronto con gli altri, non si chiede se fa bene o male. Sa che è così e basta, vive com’è nella sua indole.
Insomma, è più il mondo che non capisce la talpa e crede che sia in difficoltà. Ma forse è un errore di valutazione, forse un pregiudizio...
La solitudine in cui vive la mette sotto una luce anomala. Siamo in una società in cui la folla ha un effetto ansiolitico: vestirci tutti uguali, parlare tutti uguali, partire per gli stessi posti ci rilassa, ci tranquilizza perché non fa attrito con la mentalità imperante. Insomma, seguire l’onda ci fa credere “giusti”. Ho sempre pensato che c’è, addirittura, un sottile piacere nello stare in coda in autostrada, come se godessimo nel sentirci tutti in trappola, Questo è un esempio estremo ma, di fatto, dal paragone continuo con gli altri traiamo la nostra identità. In questa dimensione massificata, è chiaro che c’è poco spazio per la talpa, che è sempre e solo in compagnia della propria interiorità. Non ha nient’altro, poverina! Quanto meno, viene vista come un’eccentrica introversa.
Ma siamo sicuri, poi, che il nostro animale si nasconda sempre?
La talpa non è né misantropa né chiusa, semplicemente non sente il bisogno di vincolarsi agli altri giorno e notte. Qualche volta esce per incontrare, magari, qualche talpa come lei. Anche perché è curiosa e ha una grande capacità d’ascolto. Nel vero senso della parola: non ha minimamente l’impulso a parlare sempre di sé, non è egocentrica. Non ha bisogno di manifestarsi o d’apparire. Possibile che ormai esistiamo solo raccontando di noi e non ascoltando, in un’epoca in cui tra l’altro viene esaltato il dialogo? Mi sembra, infatti, che al massimo siamo capaci di conversare, e incapaci invece di accogliere e rielaborare il pensiero altrui. Tutto questo però è molto superficiale.
Non ci s’improvvisa talpe, dunque. Ma durante il lockdown ce l’abbiamo fatta tutti...
La gran parte delle persone sono state talpe a tempo determinato, e con gran fatica. Con il via libera sono tornate a essere gli animali che erano prima. La riflessione è un’altra. Le costrizioni imposte erano pesanti, certo, ma sono durate due mesi. Non è un tempo infinito. Mi ha fatto effetto, che poco dopo la “chiusura” si parlava già di un mondo che crollava. Ho capito che siamo su un tapis roulant che non si può interrompere, chi si ferma è perduto. Purtroppo, le catastrofi naturali esistono da sempre, sono una forza sovrastante che non riusciremo mai a controllare pienamente. Per sopravvivere, dobbiamo attrezzarci ad accettare che siamo piccoli, fragili e che apparteniamo a un ciclo più forte di noi. Questo pensiero ci può confortare e rendere più forti nei periodi eccezionali, come questo.
E adesso che siamo tornati alla luce del sole, le talpe sono sparite?
Di talpe autentiche ne sono rimanse ben poche in circolazione! La mia impressione è che la gente è tornata uguale a prima del lockdown, come se fosse avida di riavere le abitudini di prima. Peccato che la realtà che ci circonda sia cambiata. Dobbiamo tornare sottoterra? In senso metaforico, sì. Dobbiamo un po’ staccarci da come abbiamo vissuto fino al 4 marzo e predisporci a fare cose nuove. Ci sono tanti modi di gioire e vivere la socialità, per esempio: non solo l’apericena, ma anche guardare insieme un cielo stellato. Oppure, molti lavori scompariranno ma tanti altri salteranno fuori e così via. Questa crisi ci ha dato una sveglia ed è un’occasione, né semplice né immediata, di cambiare il mondo. Per farlo, però, bisogna guardare avanti, non indietro. Può essere un’avventura esaltante, se non ci facciamo frenare dalla paura di perdere le vecchie abitudini. Da buona talpa dico: non è meglio rinunciare a qualche distrazione, a qualche divertimento per cambiare una civiltà che rischia di scomparire?
Ma che suggerimenti può dare la talpa, che non vede niente?
Vedrà poco ma è capace di farlo al buio. Meno vediamo, più immaginiamo. Meno vediamo, più creiamo nella mente mondi alternativi. In questa sospensione in cui ci troviamo, sarebbe salutare spostarci con la mente, non essere sempre “infognati” nel presente e nel luogo in cui viviamo, ma anche vivere al buio e inventare altri universi, altrimenti riconosciamo sempre e solo il nostro. Non c’è nulla di più prolifico, produttivo del pensiero. Certamente, i miei sono riflessioni da talpa, dalla vista debole... Ma lo sforzo collettivo d’immaginazione sarebbe già una base di partenza.
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Articolo pubblicato sul n. 21 di Starbene in edicola ad agosto 2020