A tutti piacerebbe scoprire con la velocità di un flash come stanno veramente le cose in una certa situazione, risolvere problemi complessi a colpo d’occhio o sconfessare al volo le bugie di Tizio e Caio. Essere dotati, insomma, di una logica granitica che ci difenda dagli scivoloni di pensiero, che si chiamano di volta in volta sbagli, illusioni, pregiudizi, manipolazioni, e che ci metta nelle condizioni di trovare la strada migliore per noi. Ma è davvero possibile arrivare a pensare senza vizi di forma e di contenuto? Starbene lo ha chiesto a Massimo Polidoro, divulgatore scientifico che al funzionamento della mente, con le sue luci e ombre, ha dedicato il suo ultimo libro Sherlock Holmes e l’arte di ragionare (Feltrinelli).
Da dove nasce il confronto con Sherlock Holmes?
L’immortale detective, creato da Arthur Conan Doyle, è l’emblema del pensiero razionale capace, di fronte a un enigma apparentemente inspiegabile, di venirne fuori con ragionamenti e deduzioni folgoranti. Però, Sherlock 123 RF Holmes è un personaggio di pura invenzione che non potrebbe mai esistere nel mondo reale.
Nessuno potrebbe essere come lui?
Noi esseri umani non siamo animali che vivono di sola logica e razionalità. Come dice il celebre neuroscienziato Antonio Damasio, direttore del Brain and Creativity Institute di Los Angeles, “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. Questo vuole dire che di fronte a tante situazioni noi siamo portati a reagire d’impulso come risposta a vissuti o sensazioni provate. È questo che ci rende umani, e per fortuna! Le emozioni come la paura, la rabbia o l’entusiasmo ci indirizzano a prendere rapidamente decisioni.
Certe volte, certo, ci portano fuoripista ma evitarle è molto difficile, se non impossibile. Tuttavia, imparando a capire come funziona il cervello e a riconoscere che può essere fallace magari non diventeremo mai come Sherlock Holmes, ma possiamo diventare capaci di riflettere in maniera più concreta, fare scelte sensate, prendere decisioni più razionali ed efficaci sul lavoro e nella vita di tutti i giorni. Ma anche di vedere oltre le apparenze, fare ipotesi ragionevoli e trarre conclusioni logiche dagli indizi che abbiamo a disposizione.
Ma la “carenza” di raziocinio è forse dovuta anche al fatto che non usiamo il nostro cervello al 100%?
La teoria sostenuta da alcune scuole psicologiche del Novecento, che sfruttiamo poco le nostre capacità e potenzialità mentali e che allenandole possiamo raggiungere obiettivi superiori, è un fraintendimento. In realtà, noi il cervello lo utilizziamo tutto. Se non fosse così, saremmo bloccati in un letto, inabili a parlare, muoverci e coordinare i gesti. La barriera è un’altra: non è possibile mettere a profitto in pieno h24 le nostre facoltà cognitive. Come dire che in alcuni momenti lo possiamo fare bene, in altri no.
Tra una persona e l’altra, però, c’è qualche differenza?
Al di là che nessuno è uguale a un altro, molto dipende dall’ambiente in cui si cresce, dalle esperienze che si fanno, dal carattere e dall’atteggiamento mentale. Di fondo, comunque, più facciamo lavorare il cervello, più si amplificano i collegamenti tra i neuroni che ci permettono di ragionare in una maniera complessa e stratificata.
Alla luce di ciò, come descriverebbe l’individuo razionalmente dotato?
Anche Albert Einstein, simbolo del genio, era irrazionale, quindi non c’è una persona nello specifico che possiamo eleggere a esempio di razionalità. Detto ciò, è logico chi si rende conto della tendenza manipolatoria di certi messaggi pubblicitari o propagandistici ed è capace, quindi, di controllarli o metterli da parte; chi non si lascia trascinare dai suoi preconcetti e convinzioni e vuole ascoltare diverse campane; chi, prima di arrivare a una decisione, valuta tutti gli aspetti della questione.
Tutti comportamenti non facili da mettere in pratica poiché siamo portati per natura a saltare alle conclusioni, a non ascoltare gli altri e a pensare che abbiamo sempre ragione. Perciò, tornando alla domanda iniziale, ciò che fa la differenza tra una persona più razionale e un’altra meno è lo sforzo, l’impegno all’attenzione, all’ascolto e all’ empatia che il primo mette nella cogitazione, e non l’avere una mente con certe caratteristiche innate.
Quali sono le trappole che annebbiano la riflessione?
Tante, per non dire tantissime. Per esempio, valutare un problema con il famoso “senno di poi”, cioè l’errata convinzione che fosse prevedibile che una X cosa sarebbe andata in un certo modo. Ma è un giudizio assurdo, dal momento che mentre viviamo un’esperienza è impossibile avere una visione d’insieme, che cogliamo solo dopo. Un altro errore è cadere vittima dell’ “ancoraggio”, ossia prendere una decisione su un numero limitato di informazioni: succede, per esempio, se in una contrattazione commerciale la nostra mente si ferma come punto di riferimento alla prima offerta fatta dall’altro e nella discussione (al ribasso o rialzo) non ci discostiamo da quel parametro iniziale.
Un altro tranello è la “correlazione illusoria”: tra due fatti vediamo un collegamento che a volte non c’è (sono inciampato perché un gatto nero mi è passato davanti). Oppure, ragioniamo male per colpa del “punto cieco”, ossia vediamo gli errori negli altri ma non li vediamo in noi stessi.
Da che parte s’inizia per mettere il ragionamento dalla parte giusta?
Dal riconoscere gli errori della mente, ma questo l’abbiamo già detto. Dal persuadersi che la nostra memoria è fallace: non abbiamo un hard disk in testa che memorizza tutti i dati oggettivi ma i nostri ricordi cambiano leggermente di volta in volta, di racconto in racconto, e più passa il tempo più si modificano. Non è una consapevolezza da poco, perché ci deve spingere a dubitare delle nostre memorie e a smettere di presentarle come la verità assoluta dei fatti.
Occorre, inoltre, abituarsi a considerare la fallacità delle nostre percezioni: le cose che noi descriviamo agli altri non è detto che siano perfettamente corrispondenti al vero, visto che la mente fa un lavoro di semplificazione della realtà e incamera solo alcuni (e non tutti) dettagli del contesto. Questa selezione mentale, quindi, tende a farci diventare dei testimoni, spesso poco affidabili: se noi riteniamo di fidarci solo di ciò che abbiamo visto, finiamo per sbagliare ed essere poco obiettivi.
Questo freno come ce lo diamo?
Coltivando sempre l’arte del dubbio e della perseveranza nell’esprimere dei giudizi. Prima dobbiamo renderci conto di cosa passa per la nostra testa: osservare, guardare, mettere insieme tutti i tasselli di un puzzle. E infine parlare. Questa volta a ragion veduta.
Il tranello che ci tarpa le ali
«Una trappola mentale in cui cadiamo sempre parte dalla pretesa di avere sempre ragione», spiega Massimo Polidoro. «Ci succede quando parliamo con qualcuno, quando cerchiamo le prove di supporto alle nostre idee o cerchiamo dei giustificativi alle nostre azioni. Ed ecco che, allora, carpiamo e ritieniamo giusto solo quello che va in questa scia mentre scartiamo ciò che ci contraddice. Il pericolo è di vivere solo di opinioni personali, mentre lo sforzo che dobbiamo fare è riconoscere questo rischio e agire di conseguenza. Altrimenti si crea un’eccessiva fiducia nelle nostre capacità (over confidence) che non è detto che sia ripagata nei fatti, così come una sottostima di potenzialità ci impedisce di fare certe cose e ci fa perdere delle occasioni».
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