In una società dove la produttività è quasi sinonimo di concentrazione, dove raggiungere gli obiettivi è fondamentale, elogiare la distrazione può sembrare un paradosso. Eppure c’è un neuroscienziato statunitense che è convinto che sapersi prendere delle pause di disattenzione possa avere i suoi benefici. Ne è così convinto da aver dedicato a questo tema un libro, intitolato Tinker Dabble Doodle Try: Unlock the Power of the Unfocused Mind, traducibile all’incirca con un’esortazione a “dilettarsi nell’arte del giocherellare”.
Ma perché la distrazione farebbe bene? Secondo l’autore, Srini Pillay, neuropsichiatra della Harvard University di Boston, «distrarsi permette al cervello di rilassarsi, in modo da essere pronto, ricaricato, coordinato e creativo quando ce ne sarà più bisogno».
Perché la distrazione fa bene al cervello
La tesi di Pillay parte da alcuni esempi già noti in psicologia, come il caso del “gorilla invisibile”. È uno degli esperimenti classici e consiste nel sottoporre a un gruppo di volontari un filmato che mostra una partita di basket, chiedendo di contare i passaggi palla. Ciò che emerge è che i partecipanti sono così concentrati nel loro compito da non accorgersi dell’irruzione in campo di un gorilla, come se fosse “invisibile”, appunto.
Pillay, però, va oltre e spiega perché può accadere che la disattenzione possa rendere più creativi. Quando perdiamo di vista il nostro obiettivo, infatti, si riduce l’attività dell’amigdala, cioè quella piccola area cerebrale che tra le sue funzioni ha quella di regolare lo stress. Inducendo uno stato di calma, la disattenzione «stimola la corteccia verso la creatività. Spinge l'attività dell'insula anteriore che rinvigorisce la consapevolezza di sé. Tiene a bada il nostro ego che ci osserva "da dentro" controllando le azioni e che ci porta a volte a sentire imbarazzo e disagio», spiega il neuroscienziato.
«È importante che una persona abbia la possibilità di sospendere temporaneamente e periodicamente l’attività stressante che sta svolgendo, qualunque sia la forma di pressione a cui è sottoposta», conferma la psichiatra e psicoterapeuta Maria Sneider. «Non definirei, però, tale interruzione come una distrazione, come fa il professor Srini. Credo piuttosto che sia la necessità di recuperare un'adeguata vitalità psichica che permette di “ritrovare” se stessi».
Quando la disconnessione rende più creativi
Nel suo libro Pillay scrive che la distrazione «permette al cervello di rilassarsi, in modo da essere pronto, ricaricato, coordinato e creativo quando ce ne sarà più bisogno». Oltre alla considerazione empirica del fatto che distraendoci ci sentiamo più rilassati, l’esperto fa riferimento al meccanismo fisiologico che si innesta quando si perde la concentrazione: si attiverebbe un gruppo di neuroni che altrimenti non sarebbe in grado di funzionare. Si tratta della cosiddetta Default Mode Network o Dmn, una rete in grado di mettere la mente in stand-by. È un po’ quello che accade quando ci si dedica a un’attività “svuota mente”, come i lavori manuali come il giardinaggio oppure una corsa o un’altra attività sportiva, meglio se ripetitiva.
In questo modo la mente è come se andasse a riposo ed è allora che è anche in grado di trovare soluzioni o idee nuove e più creative. Ma è possibile ricorrere a tecniche precise per migliorare la creatività, distraendosi?
La tecnica del parlare a se stessi
È ancora Pillay a suggerire un metodo per distaccarsi dal proprio obiettivo principale, ricorrendo a un altro modo per trovare la soluzione: per esempio, parlare da soli. Certo, detto così può risultare bizzarro, ma l’esperto di Harvard spiega che «scambiarsi bizzarre ipotesi sul futuro o su come affrontare possibili scenari», «è un modo giocoso di utilizzare l'immaginazione, che potenzia l'abilità di concepire soluzioni per problemi già noti».
«In realtà credo che Pillay dia suggerimenti sicuramente originali, ma forse un po’ “freddi” e tecnici», osserva però la psichiatra Sneider. «A mio avviso questo tipo di soluzioni non porta molto lontano. Io piuttosto consiglierei: perché non confrontarsi e fare ipotesi sul futuro con un collega o un amico, invece di parlare da soli? Da questo punto di vista forse Pillay non dà importanza agli affetti e al rapporto umano, come se una persona dovesse risolvere tutto da sola. Questa potrebbe essere una tendenza pericolosa, che risente di un atteggiamento narcisista molto diffuso nella società moderna».
Quanto è utile procrastinare?
Un’altra tendenza della società contemporanea è non procrastinare, spingere a portare a termine i compiti nei tempi prestabiliti, senza indugi. E se invece prendersi del tempo fosse utile? Secondo Pillay sospendere le proprie attività, concedersi delle pause di disattenzione e “perdersi” un po’ potrebbe aiutare.
«In questo caso sono d’accordo con lui: le pause scandite in maniera adeguata durante la giornata rendono più accettabile qualsiasi attività. Inoltre, l’individuo conserva un maggiore equilibrio e serenità», conferma l’esperta. Che aggiunge: «Procrastinare è un termine che può avere un’accezione anche molto positiva, non solo riferita al lavoro o allo studio, ma anche per le grandi decisioni della propria vita. Non farsi prendere dalla fretta o dall’impulsività è un segnale di una identità sana e solida. L’importante è non procrastinare al momento sbagliato, per non perdere delle occasioni fondamentali».
Alternare pause, distrazione e concentrazione
L’utilità delle pause adeguatamente alternate a momenti di lavoro e concentrazione intensi è già stata presa in considerazione anche a livello aziendale. Nella sede di Google a Mountain View, in California, sono state realizzate palestre e campi da pallavolo tra un edificio e l’altro a disposizione dei dipendenti, così come biciclette in uso gratuito per concedersi un po’ di svago nelle aree verdi che circondano gli spazi.
«Penso che la cosa più importante sia affrontare il lavoro, lo studio, etc., con i tempi giusti, adeguati, non necessariamente con i giri in bicicletta», osserva Maria Sneider. «La società di oggi invece ti costringe a essere sempre produttivo, con il rischio di dimenticare la propria umanità».
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