“Alla ricerca del sonno perfetto”. È il titolo del film (mentale) che molte persone proiettano ogni sera nella loro testa, ossessionate dal voler dormire "bene". In psicologia si parla di ortosonnia (dal greco orthos, cioè corretto, e somnus, sonno), che di solito porta ad adottare comportamenti scorretti oppure a monitorare la qualità del proprio riposo con dispositivi elettronici indossabili, focalizzandosi sui risultati ottenuti e auto-diagnosticandosi disturbi di cui magari non si è realmente affetti.
«Questa iper preoccupazione non è una patologia psichiatrica né un disturbo del sonno, ma una particolare condizione che affligge i perfezionisti del riposo», commenta la dottoressa Karen Manni, psicologa e psicoterapeuta a Verona.
Quali sono i sintomi dell'ortosonnia
Da qualche anno, spopolano le app che monitorano il sonno attraverso analisi dettagliate e consigli personalizzati: basta sincronizzarle con smartphone, smartwatch o dispositivi “sleep tracker” per dare un voto al nostro riposo notturno. La mattina successiva, sapremo quante ore abbiamo dormito, quanto lo abbiamo fatto profondamente e se raggiungiamo sufficienti fasi REM durante la notte. E in più possiamo ottenere suggerimenti su come dormire ancora meglio.
«Paradossalmente, però, questa ricerca perfezionistica del sonno ideale può peggiorare le cose: se i dati riportati dovessero evidenziare qualche problema, andando a letto si inizierà a provare ansia, attivando un circolo vizioso dove più si pensa alla necessità di dormire più diventa difficile addormentarsi», evidenzia la dottoressa Manni. «Peraltro, la stima fornita da questi dispositivi è approssimativa e, in più, poche persone sanno interpretare veramente i dati, distinguendo tra fase REM e NonREM per esempio».
Quali sono le cause dell'ortosonnia
L’ortosonnia si fonda spesso su una mania del controllo e una tendenza individuale al perfezionismo, dove le persone che ne soffrono vogliono tenere in mano il timone di ogni situazione ed esigono performance elevate in qualunque settore della vita, al punto da diventare ossessive.
«Il problema è che sul sonno abbiamo un potere relativo, visto che si tratta di un automatismo biologico: non siamo noi a indurlo volontariamente, perché avviene fisiologicamente come necessità basilare di tutti gli esseri viventi, come mangiare, bere o respirare», spiega l’esperta.
A tutti può capitare la classica notte in bianco, che in genere precede una giornata importante oppure è la diretta conseguenza di situazioni stressanti ed emozioni intense: «Se questa condizione non deve destare allarme, nella mente di un perfezionista può innescare pensieri ossessivi, del tipo: “Soffro di insonnia”, “Non ne uscirò mai più”, “Come farò domani a lavorare?” e così via», riferisce Manni.
Teniamo anche conto della cosiddetta mispercezione del sonno: spesso abbiamo l’impressione di aver dormito meno di quanto abbiamo fatto in realtà e questo può contribuire a un giudizio di cattiva qualità e quantità del riposo.
Perché il sonno perfetto non esiste
Per convenzione si consigliano 7-9 ore di sonno a notte per gli adulti, ma si tratta di una media generale che non tiene conto di molte variabili soggettive, come età, genere, momento di vita e così via.
Il bisogno di sonno è estremamente variabile: se la maggior della popolazione adulta si assesta su questi valori medi, c’è chi sistematicamente non arriva a tale durata oppure eccede. Si tratta dei cosiddetti brevi e lunghi dormitori: i primi stanno sotto la soglia delle 6 ore per notte e gli esempi più famosi sono Napoleone Bonaparte, Winston Churchill, Thomas Edison, Leonardo da Vinci o, più di recente, il famoso golfista Tiger Woods; i secondi, invece, possono arrivare a 9-10 ore e oltre, come accadeva ad Albert Einstein o, ai giorni nostri, all’ex tennista Roger Federer.
«Questa necessità di una minore o maggiore “ricarica” dipende dalla predisposizione genetica, per cui è inutile voler rincorrere una presunta durata perfetta che magari non fa per noi», precisa la dottoressa Manni.
Piuttosto, poniamoci alcune domande al momento del risveglio e durante la giornata: “Mi sento riposato?”, “Riesco a sbrigare le faccende quotidiane?”, “Qual è il mio livello di benessere?”. «In altre parole, dobbiamo imparare a credere alle nostre sensazioni, non ai dati che leggiamo sul telefonino o sullo smartwatch», raccomanda la psicologa. «In caso contrario, rischiamo di scatenare un’insonnia messa in moto dall’ansia di dover dormire bene per forza. Una sorta di cortocircuito mentale che ci tiene svegli nella ricerca irrealistica del sonno perfetto».
Cosa fare in caso di ortosonnia
Per contrastare l’ortosonnia, è fondamentale rispettare alcune regole di igiene del sonno:
- essere costanti e abitudinari. Per quanto possibile, è importante coricarsi e svegliarsi a orari regolari, da rispettare anche nei fine settimana e nei giorni di riposo o vacanza;
- evitare di andare a letto troppo presto, sperando di addormentarsi prima. In generale, bisognerebbe coricarsi solo quando si inizia a percepire sonnolenza;
- non rigirarsi nel letto senza pace. Quando non si riesce a prendere sonno, è preferibile non rimanere a letto ma alzarsi e dedicarsi ad attività rilassanti, come leggere o ascoltare musica;
- resistere alla tentazione di guardare ossessivamente l’ora, in modo da evitare l’avvio di calcoli mentali sul tempo che manca al suono della sveglia. Finiremmo solo per generare ansia.
Ortosonnia, quando serve un aiuto professionale
Se questi consigli generali non sortiscono l’effetto desiderato, è bene chiedere un aiuto specialistico. «È fondamentale rivolgersi a un centro di medicina del sonno, innanzitutto per sottoporsi a una visita specialistica e fare eventuali esami e test diagnostici per escludere un reale disturbo», suggerisce la dottoressa Manni.
«Una volta confermata l’ortosonnia, si può scegliere l’approccio psicologico o psicoterapeutico più indicato. Ad esempio, con il trattamento cognitivo comportamentale dell’insonnia è possibile trovare giovamento nell’arco di 8-10 sedute, tornando a dormire senza paura, placando i pensieri disfunzionali sul sonno e accettando le inevitabili notti in bianco e le fasi di cambiamento che anche il sonno attraversa nel corso della vita».
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