Alzi la mano chi, durante le festività di fine anno, non sente la nostalgia bussare più forte alle porte del cuore. Sollecitati da atmosfere gioiose e un po’ magiche, così come dai richiami all’intimità e agli affetti che arrivano da ogni parte, tendiamo a pensare alla nostra infanzia, a come tutto è cambiato anche solo rispetto a una manciata di anni fa.
Come spesso accade quando la nostalgia ci interpella, però, finiamo per trovarci di fronte a un bivio: dobbiamo accoglierla, assecondarla e utilizzarla per rifugiarci in un mondo che non c’è più, oppure ci conviene ignorarla e continuare per la nostra strada, dimenticando il passato? «In realtà, nessuna di queste due opzioni estreme è utile al benessere, mentre ne esiste una terza più equilibrata e capace di generare effetti positivi», rivela il pedagogista e formatore Federico Zannoni, collaboratore dell’Università di Bologna e della Siberian Federal University, autore del saggio Quello che ci lega (Edizioni Junior, 15 €), dedicato proprio al tema della nostalgia. «Consiste nell’accettare serenamente questo stato d’animo, consapevoli del fatto che i ricordi e le memorie, se maneggiati e reinterpretati con delicatezza e rispetto, possono servire da basi e appigli per il presente e il futuro».
Ma poi, cos’è davvero la nostalgia? Vediamolo insieme.
Sono ricordi depurati dal dolore
«La nostaglia è uno stato d’animo che da sempre suscita diffidenza», afferma l’esperto. «La parola, infatti, è stata coniata nel Seicento per indicare la grave malattia che colpiva i soldati svizzeri costretti a combattere in suolo straniero. Questi erano così ossessionati dalla mancanza della patria e dal desiderio di tornarci, da perdere interesse verso qualsiasi cosa. Perciò l’idea che la nostalgia sia una condizione pericolosa (o, al limite, buona solo per ispirare opere d’arte) ha spopolato fino a una quarantina di anni fa, quando è stata affiancata da una nuova prospettiva, che la inquadra come una funzione psicologica normale, parte della vita di chiunque e non legata necessariamente a un luogo ma a eventi, momenti, persone. Oggi sappiamo che è un’emozione potente e complessa, che nasce quando il filtro dei ricordi depura la memoria dal dolore, cioè ci rimanda un’immagine positiva e consolatoria del passato. Ecco perché si dice che abbia un sapore agrodolce: racchiude in sé la certezza di aver vissuto momenti felici e la consapevolezza di non poter tornare indietro».
La funzione della nostalgia
Il fatto che la nostalgia si basi su ritratti edulcorati dei nostri vissuti non significa che sia ingannevole. Come ogni altra emozione, infatti, ha lo scopo di indurci ad agire per il nostro bene, in risposta alle situazioni che la vita ci propone.
Ma che cosa ci spinge a fare, precisamente? «Stando all’esperto americano di psicopatologia della nostalgia Harvey A. Kaplan, ci permette di conservare e riconoscere dentro di noi frammenti del bambino che eravamo, amato e coccolato negli anni della prima infanzia. Questo è fondamentale per incrementare l’autostima, alleviare i sentimenti di perdita e ridurre i rischi di cadere in depressione. Altri studiosi, invece, sottolineano il suo ruolo positivo nelle relazioni: poiché ci rimanda a quando appartenevamo a più gruppi forti (famiglia, scuola, amici), ci aiuta a contrastare l’eventuale spaesamento dato dai rapidi cambiamenti della società, ci apre al prossimo e ci rende fiduciosi e speranzosi verso i legami d’appartenenza comunitaria.
Sbagliato opporsi a quest’emozione
Oggi chi resiste alla nostalgia non vuole evitare un’antica malattia, quanto «una perdita di tempo, un’ossessiva rimeditazione di cose che sono accadute e sulle quali non vale la pena di sostare nemmeno un attimo, essendo di ostacolo a vivere una vita liberamente aperta all’avvenire», scrive lo psichiatra Eugenio Borgna nel libro La nostalgia ferita (Einaudi, 12 €). Ma precludersi la possibilità di ricordare il bello e il buono che c’è stato è un grave errore, innanzitutto perché significa non sapere più da dove veniamo, chi siamo, cosa vogliamo. Peccato, che senza informazioni autobiografiche non possiamo alimentare e organizzare il nostro sistema di conoscenze, effettuare ragionamenti, fornire giudizi.
«Insomma, ignorando deliberatamente il passato indeboliamo la continuità e la coerenza della nostra identità», riassume Federico Zannoni. «Al contrario, se lo ricordiamo e proiettiamo nel presente le emozioni gratificanti del passato, diamo un senso alla nostra storia, rinforziamo la percezione di procedere non per salti mortali ma con una direzione, lungo traiettorie significative. E questo alimenta l’ottimismo, l’ispirazione, la motivazione, la fiducia nei confronti di noi stessi, della nostra esistenza e del futuro».
Sbagliato anche indugiarvi troppo
Dal canto suo, chi non riesce a distogliere cuore e cervello da un’età dell’oro mai davvero esistita, dedica tutte le sue energie all’utopia di ricostruirla; in alternativa, si ripiega sul se stesso di anni addietro, perde le opportunità offerte dal presente e si disinteressa del futuro.
Ma che cosa c’è sotto? «Probabilmente coloro che non si rassegnano all’impossibilità di una “replica”, si percepiscono come insicuri, fragili, inadeguati, minacciati», osserva il pedagogista. «Gli studi hanno dimostrato che più ci sentiamo fuori posto, precari, in pericolo più è facile provare nostalgia. Per inciso, questo spiega perché vadano così di moda prodotti commerciali e culturali d’ispirazione “vintage” (auto, elettrodomestici, abiti, bevande, film, canzoni, videogame...), rivisti e corretti secondo i gusti contemporanei: sono rassicuranti e ci avvicinano emotivamente agli altri, in quanto esprimono un passato condiviso e sereno. Purtroppo, però, sono anche ingannevoli poiché lasciano intendere che basti possederli o utilizzarli affinché i bei tempi andati tornino, più splendidi che mai».
L’opzione che fa crescere
Secondo Svetlana Boym, intellettuale e autrice del saggio The future of nostalgia (“Il futuro della nostalgia”, circa 15 € su Amazon), scomparsa tre anni fa, il modo più equilibrato e sano per vivere bene la nostalgia è quello “riflessivo”, che implica ragionare su ciò che è stato senza né rinnegarlo né illudersi di poterlo ricostruire. Si sviluppa in tre passaggi.
- 1) Accogliere i frammenti del passato che ci suscitano questa emozione, rispettandoli anche se entrano in conflitto con altri ricordi. Per esempio, proviamo nostalgia per un piatto che ci cucinava nostra nonna e, allo stesso tempo, nutriamo del risentimento verso di lei per certe sue azioni? «Entrambi gli stati d’animo sono legittimi e dimostrano la complessità delle esperienze e delle relazioni», commenta il dottor Zannoni. «Relativizzando gli eventi con ironia, senso dell’umorismo e una ragionevole dose di indulgenza, impediremo che si soffochino a vicenda e trarremo il meglio da ciascuno».
- 2) Utilizzare le sensazioni, le idee, le ispirazioni che la nostalgia porta con sé per aumentare la nostra flessibilità e creatività, così da riuscire a soddisfare meglio bisogni e desideri. In altre parole, i nostri ricordi positivi (riadattati alla condizione attuale) possono fare d’orientamento per il presente, non certo diventare un “fermo immagine” da contemplare.
- 3) Prendere atto che, giorno dopo giorno, la nostra biografia si popola di possibili pretesti per la nostalgia futura e che, quindi, è indispensabile vivere in pienezza, consapevoli di quanto si fa, si dice, si prova. «In questo modo ci garantiamo un serbatoio di vissuti da cui, in avvenire, potremo attingere per stare meglio con noi stessi e con gli altri», conclude il pedagogista». E da non da rimpiangere con nostalgia.
Non è roba per vecchi
«La nostalgia è sempre stata considerata un sentimento destinato a intensificarsi col passare degli anni e con l’avvicinarsi alla terza età, in quanto uno degli ultimi baluardi per costruire legami di continuità tra il passato e il presente», dice Federico Zannoni.
«Negli ultimi anni, però, anche i giovani sono diventati diversamente e crescentemente nostalgici, grazie alla diffusione delle tecnologie e della consuetudine di abitare contesti sociali virtuali. Infatti, il pullulare di foto, spesso riferibili a momenti mondani, ha fatto sì che il passato sia diventato sempre più prossimo al presente: possono passare pochi secondi, giusto il tempo che una foto venga scattata e pubblicata online, e subito quell’istante, appena vissuto o parte di una situazione ancora in corso, non è più nel presente, ma diviene uno degli infiniti frammenti di un passato ravvicinato e fluido, che procede per incessante accumulazione e che può produrre sentimenti nostalgici negli autori, nei soggetti e nei fruitori di quelle immagini. In sintesi, pur continuando a trarre nutrimento principalmente dal passato remoto, la nostalgia ha oggi allargato il suo dominio anche sul passato prossimo. Ma in questo modo ci illude sul fatto che possiamo sempre mantenere vivo il passato». In fondo, basta dare un’occhiata alla nostra gallery!
Il potere evocativo degli oggetti
«Se toccati, guardati, addirittura amati con un sano atteggiamento nostalgico, gli oggetti che ci circondano raccontano storie di noi e di chi non c’è più, trasportandoci in un altrove che a sua volta favorisce il dialogo con noi stessi e/o contribuisce a generare o rinsaldare legami», afferma il pedagogista Federico Zannoni.
«Lo sanno bene i creatori delle case-museo che si ispirano al Museo dell’innocenza (masumiyetmuzesi-en.myshopio.com) realizzato a Istanbul dal Nobel per la letteratura Orhan Pamuk. Si tratta di edifici in cui hanno vissuto persone normali, non celebri, e che oggi sono aperti al pubblico, il quale, attraverso gli oggetti esposti, può conoscere le loro storie, commuoversi, immedesimarsi, trovare ispirazione e consolazione».
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Articolo uscito sul n. 52 di Starbene, in edicola dall'11 dicembre 2018