Teddy Bear, il metodo per combattere l’ansia

Non c’è età per non farci proteggere dal nostro orsetto del cuore. Da bambini era un peluche, da adulti è un metodo di cura interiore che ferma quel flusso d’agitazione e preoccupazione continua, così diffuso oggi



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Le insidie delle relazioni familiari, delle sfide lavorative, dei nodi emozionali della scuola e delle ombre, che la vita getta a cicli alterni qua e là, vengono trasformate dalla paura in un cammino tortuoso lungo i binari dell’ansia.

In un’emozione che da normale e salutare, come risposta fisiologica a una situazione di pericolo o incertezza, diventa un’angoscia eccessiva e assillante. Proprio la freccia che, secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, solo in Italia colpisce circa tre milioni e mezzo di persone, più le donne che gli uomini.

Su questo problema, completo di cause, soluzioni e prospettive di cura sono stati scritti fiumi di parole ma la psicologa Elisa Zanelli, con il suo recentissimo libro Il metodo Teddy Bear (Ultra Life), mette il tema su un piano diverso e interpreta quell’andirivieni di pensieri negativi e timori persistenti come riflesso di un deficit di sicurezza e perdita di sostegno, il quale però trova un buon riparo in quell’orsetto che ci faceva tanta compagnia da piccoli.

A stretto giro di posta, smaterializzato dalle sembianze del peluche doc e rimontato sotto forma di nido protettivo interiore. Ecco cosa precisa a Starbene.


Ansia e senso di abbandono, che nesso c’è?

L’affanno pervasivo è strettamente legato al timore di essere soli o privi di supporto, radicato nel bisogno umano di protezione e connessione. Questo “vuoto”, pesante e profondo, ci fa sentire smarriti e vulnerabili. Ecco perché ricreare una base sicura attraverso routine, oggetti simbolici o relazioni significative può aiutare a ridurre la sensazione di essere lasciati a se stessi e, di conseguenza, l’ansia.


L’ansia, pertanto, è una questione di garanzie a largo spettro, ma queste non ce l’ha nessuno a vita…

Poiché la certezza in qualsiasi ambito dell’esistenza non può essere assicurata per sempre, è fondamentale sviluppare strumenti interni di autoregolazione e padronanza emotiva che sostituiscano la dipendenza esclusiva dalle relazioni esterne o da ciò che avviene al di fuori di noi. Significa interiorizzare esperienze positive di protezione e conforto vissute nel passato, per affrontare l’incertezza attuale in modo autonomo.


In cosa consiste il metodo Teddy Bear?

S’ispira all’idea del bambino che si affida al suo orsacchiotto per sentirsi al sicuro e cercare consolazione, come sostiene il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott nella sua teoria dell’oggetto transizionale. Allo stesso modo, anche un adulto può confidare nelle proprie risorse interne e nelle reti di appoggio esterno per fronteggiare le sfide della vita, come le situazioni di stress e di difficoltà.


Ma ci sono Teddy Bear validi e universali per tutti oppure è tutto molto personale?

La risposta alla domanda è duplice. Esistono strumenti di sicurezza emotiva conformi per la stragrande maggioranza degli individui e quando dico questo penso ad attività quotidiane ripetitive e prevedibili, a un rito serale, a pratiche di rilassamento che creano un senso di controllo e riducono l’incertezza.

Nello stesso gruppo metto legami amicali, amorosi o familiari stabili e affidabili ma anche stare in ambienti tranquilli e organizzati, con luce soffusa e suoni rilassanti, depotenzia l’ansia. Questi elementi universali rappresentano una base, ma trovare il proprio Teddy Bear non si esaurisce nell’aderire all’uno o all’altro di questi esempi. È necessario, invece, che ciascuno trovi i propri punti di benessere psicologico, legati a esigenze e preferenze personali, che magari non sono neanche nella lista omologata.

Per esempio, alcune persone trovano tranquillità nella scrittura, altre nella musica, altre ancora nel contatto con la natura o nel toccarsi la medaglietta che hanno al collo, e via dicendo. Il focus è chiaro: bisogna monitorarsi emotivamente per capire cosa funziona meglio per noi e adattare le strategie di sostegno nel tempo, rendendo il metodo flessibile e accettabile a tutti.


Come si riconosce il nostro orsacchiotto?

Lo scopo di questo schema di cura è raggiungere un autocontrollo delle proprie emozioni. Con l’aiuto di uno psicologo, si attraversano tre fasi principali. Si parte dalla prima, la consapevolezza dei propri sentimenti e delle proprie azioni: è qui che si trova il nostro Teddy Bear, cioè la presa di coscienza di quell’attività (oppure oggetto) che ci fa stare bene o, al contrario, ci carica di ansia.

La seconda fase (sviluppo) prevede che, una volta che un individuo abbia scoperto il proprio Teddy Bear, lo usi in modo cosciente tutte le volte che si trova in difficoltà, imparando a visualizzarlo. Serve per affrontare meglio le emozioni perché la tensione viene scaricata in modo conscio, e non inconscio come succedeva prima.


Quali sono le differenze emozionali di questo passaggio?

Suona tutt’altra melodia, si passa da un meccanismo di difesa inconsapevole (tipo piangere, aggredire o ritirarsi, ecc.) a un’azione di serenità consapevole. E il rimbalzo virtuoso non ci sfugge: ci rendiamo conto di avere un migliore self control e, di conseguenza, ci sentiamo più al riparo. Cresce la fiducia in noi stessi, le emozioni riescono a calibrarsi, si sgonfia l’ansia.


Per arrivare a…

Al distacco dal Teddy Bear, il traguardo finale della terapia. Avviene quando una persona abbandona i punti di riferimento esterni, tipici dell’ansia, in seguito al rinforzo dell’autostima. Crede di più in se stessa e si convince che quell’importante puntello se lo può dare da sola.

Allora, bisogna allenarsi contro l’ansia? Sì, con il tempo si guadagna consapevolezza, resilienza ed esperienza, capacità che allontanano lo spettro ansiogeno sempre più efficacemente. Inoltre, rendono questo processo parte della crescita emotiva di ognuno. Maturo e fecondo a tal punto che il Teddy Bear è solo un ricordo del tempo che fu.


I punti di forza del metodo Teddy Bear

«A mio avviso non esistono tecniche più vantaggiose in assoluto nella gestione dell’ansia ma, piuttosto, strumenti che si adattano meglio a determinate criticità e personalità» afferma Elisa Zanelli.

«Comunque, Teddy Bear, se vogliamo dare delle indicazioni di massima, lo vedo particolarmente utile a chi fa fatica a confrontarsi con l’emotività senza sentirsene costantemente sovrastato, perché propone uno spazio protettivo che possiamo evocare rapidamente in ogni momento e in ogni contesto, adattandosi con agilità ai ritmi serrati della vita moderna.

L’ideale, poi, per coloro che cercano un mezzo autonomo e flessibile per “governare” ansia e stress. Oltre al pragmatismo, c’è anche che Teddy Bear promuove un approccio empatico e affettuoso nei confronti di se stessi: non si limita a osservare i propri pensieri ma incoraggia a gestirli basandosi su un atteggiamento di autocura. Con un lavoro di ampio respiro ed equilibrio tra corpo, mente e relazioni».



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