L'attrice Jessica Alba ha ammesso che deve controllare, per ben due volte, le serrature di casa e staccare qualsiasi spina di elettrodomestico, prima di riuscire a dormire; l’ex calciatore David Beckham ha confessato che, a casa sua, tutto deve essere disposto in maniera simmetrica, allineato e a coppie. Anche in frigorifero. Mentre Charlize Theron è fissata con l’ordine.
Manie da vip? Quante volte ti è capitato di tornare sui tuoi passi per assicurarti di aver chiuso la portiera dell’auto o di tirare a lucido la casa anche se già pulita? Comportamenti come la necessità di controllo o una troppo scrupolosa attenzione all’igiene, in realtà sono dei rituali che il nostro cervello mette in atto come reazione a paure irrazionali, oppure a pensieri che ci spaventano ed emozioni che non riusciamo a gestire. Se aumentano di frequenza e intensità, attenzione: sono il campanello d’allarme di un malessere più profondo, che però si può curare. Come ci spiega in questa intervista il professor Giorgio Nardone, psicoterapeuta e direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Professore, perché siamo “costretti” a compiere un determinato rituale?
Tornare una volta sui propri passi per verificare di aver chiuso la porta di casa è del tutto normale, così come ricontrollare, dopo averlo compilato, un documento importante. È semplicemente un eccesso di scrupolo. Il problema nasce quando questi comportamenti diventano obbligati, un rituale necessario che si ripete più e più volte.
Al punto da diventare un vero e proprio disturbo che ci fa perdere tempo, ci esaurisce emotivamente e arriva a compromettere la vita quotidiana, le relazioni famigliari e sociali, il rendimento sul lavoro. Entriamo quindi nell’ambito dei disturbi ossessivo compulsivi (DOC) che, spesso, vengono definiti manie - delle pulizie, dell’ordine, dell’igiene personale - piuttosto che propriamente ossessioni, perché così appaiono più accettabili.
Effettivamente chi più chi meno tutti abbiamo le nostre fissazioni...
I disturbi più comuni vengono distinti in riparatori, preventivi, propiziatori, controllo, ordine e dubbio mentale. I primi nascono dalla paura di essersi sporcati, contagiati, perché venuti a contatto con qualcosa che si ritiene impuro e dannoso, da qui il bisogno impellente di lavarsi più e più volte; nei preventivi rientrano, invece, le pulizie maniacali di casa anche se non è realmente sporca; non farlo potrebbe far ammalare qualcuno dei propri cari e la colpa sarebbe di chi non ha provveduto. Nel disturbo da controllo, le persone devono essere sicure di non aver tralasciato nulla al fine di prevenire possibili catastrofi. Serve anche per tranquillizzarsi dal dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male o di sbagliato e di non ricordarlo.
Ne fanno parte l’ossessione per la chiusura di porte e finestre, portiera della macchina, rubinetto del gas, fornelli, etc. I propiziatori sono invece quei riti messi in atto per propiziare appunto eventi positivi o evitare quelli negativi. Per quanto riguarda la mania dell’ordine, tra le più diffuse, allineare gli oggetti secondo simmetria o una precisa logica ha un effetto calmante e, di contro, se compromesso da altri, può scatenare reazioni aggressive. Infine c’è il dubbio patologico: riguarda la paura di provare sentimenti, pulsioni ed emozioni inaccettabili o disgustose per il comune sentire sociale.
Ma perché ci succede?
Di solito questi comportamenti compulsivi emergono nelle situazioni di fragilità psicologica e possono manifestarsi anche a periodi, con diversi livelli di intensità. Succede quando si è sotto stress oppure dopo un trauma emotivo o ancora un lutto non elaborato. Servono come una sorta di rassicurazione: con il rituale, la mente sposta l’attenzione da qualcosa che può far soffrire o dal timore che ciò possa accadere, così come da paure che non vogliamo affrontare. È un meccanismo difensivo, una reazione che è sotto il livello della coscienza, viene spontanea e, purtroppo, può diventare preponderante, invalidante appunto. Ne diventiamo consapevoli quando ormai il meccanismo è alle soglie della patologia.
I DOC si possono curare?
La terapia, dai casi più severi a quelli meno invasivi, ma anche la prevenzione richiedono di mettere in atto qualcosa che è controintuitivo. Una “tecnica di auto-aiuto”, per cui il rituale va ripetuto un numero prefissato di volte, fino alla saturazione per assurdo. La compulsione è di controllare la portiera dell’auto per 3 volte? Va ripetuta almeno 5 e se, non basta, 10. Occorre cioè portare quel comportamento all’esasperazione per eccesso, così da provocare una reazione avversa e cambiare la prospettiva mentale.
Affinché la mente si renda conto dell’assurdità. Se non bastasse allora ci si può rivolgere a uno psicoterapeuta. Da 40 anni utilizzo per i miei pazienti la “terapia breve strategica”, di cui sono uno degli ideatori. Il paziente è guidato a fare un’esperienza che cambia la sua percezione della realtà attraverso strategie e stratagemmi, non importa se assurdi. In seguito si affronta la fase cognitiva, relativa all’aspetto mentale.
Da leggere: il metodo che usa l'ironia
Una delle pazienti citate dallo psicoterapeuta Klaus Bernhardt in Liberati dai pensieri ossessivi e dalla compulsioni (Demetra, 16,90 €), aveva la mania di controllare ripetutamente, fino a 7 volte, la portiera della sua auto nuova per assicurarsi che fosse chiusa, dopo che nel quartiere erano avvenuti dei furti. Durante la prima seduta, lo psicoterapeuta adottò un approccio all’apparenza spiazzante: l’arma dell’ironia.
Costruendo una storia sulla povera auto, di nome Luzi, messa continuamente in imbarazzo dalle manie di controllo della sua proprietaria e per questo presa in giro dalle altre vetture parcheggiate. Quell’immagine era stato il primo passo per aiutare la paziente a risolvere il suo comportamento compulsivo.
Lo psicoterapeuta di Berlino nel libro spiega il suo metodo per superarli grazie a diverse tecniche di auto aiuto, tra cui l’azione di contropensieri e controsensazioni solo apparentemente assurdi, l’utilizzo di visualizzazioni, verbalizzazioni e stimoli sensoriali, aiutando il paziente anche a ridere delle proprie compulsioni. Così da indurre il cervello a una reazione che porterà via via alla scomparsa del disturbo.
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