C’erano una volta il titolo di studio e l’esperienza, che garantivano certezze e stabilità lavorativa. Oggi non più: a farla da padrone nel mondo del lavoro sono le novità tecnologiche, soprattutto digitali, che impongono ritmi di aggiornamento continuo, pena l’esclusione dalla vita professionale.
Qualche numero su questa corsa collettiva verso procedure all’avanguardia è fornito, per esempio, dall’Ocse: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico stima che, entro il 2025, il 44% degli occupati in Italia subirà un cambiamento del proprio lavoro e delle relative mansioni in direzione più tecnologicamente avanzata. Il 10%, invece, sarà sostituito da un robot, dunque in ogni caso costretto a reinventarsi in un mondo sempre più digitale.
Mentre la ricerca Skills Revolution (“Rivoluzione della abilità”) condotta da ManpowerGroup su 18mila datori di lavoro in 43 nazioni, Italia compresa, rivela che 3 imprenditori su 4 ritengono che, nel prossimo futuro, il possesso di competenze digitali sarà decisivo per ottenere un’assunzione a lungo termine e/o mantenere il posto di lavoro.
Come dire: la learnability, cioè l’attitudine a rimanere costantemente aggiornati e a continuare a imparare, è perciò indispensabile. Anche se continua a guerrigliare con la categoria di lavoratori “maturi”: per molti over40, infatti, il digitale è fonte di insicurezza, scoraggiamento, stress, tant’è che finiscono per considerarlo un peso, se non per rifiutarlo tout court.
Davvero un peccato, spiega lo startupper (imprenditore specializzato nell’avvio di nuove società, in genere tecnologicamente avanzate) Riccardo Pozzoli, che nel suo libro Non è un lavoro per vecchi (DeAgostini, 16,50 €, in libreria dal 21 marzo), scrive: «Grazie alle innovazioni tecnologiche ormai alla portata di tutti si possono inventare lavori nuovi, ripensare in modo completamente diverso attività anche estremamente tradizionali e ci si può rivolgere a un mercato molto più ampio, i cui confini coincidono potenzialmente con quelli del mondo».
Insomma, se anche tu appartieni al gruppo dei tecno-scettici, sei costretta a superare il blocco, se vuoi essere ancora competitiva a livello professionale. Ecco come.
Non avere paura a retrocedere
«Quando una situazione ti mette in uno stato d’ansia o di incertezza, tendi a ritirarti in una zona di comfort, a non vedere più la cosa nella sua interezza ma a concentrarti solo sui dettagli preoccupanti», esordisce Marco Naman Borgese, psicologo clinico e startup per specializzato in nuove tecnologie applicate in ambito clinico. «Forse ti opponi alla trasformazione digitale perché temi il sovraccarico di ore e/o di impegno necessari per il training: non hai certo bisogno di un surplus di compiti, con tutto quello che devi già fare!».
Magari, invece, non approvi un nuovo sistema o device perché credi che daranno luogo a ulteriori difficoltà: dopotutto, anche la saggezza popolare ammonisce chi lascia la via vecchia per quella nuova. «Oppure, il tuo cruccio è più profondo e riguarda l’immagine: ti infastidisce l’idea di dover retrocedere a “principiante” e di mettere in discussione (o accantonare) l’esperienza e le competenze accumulate negli anni per imparare qualcosa ex novo», aggiunge Borgese.
E poi, non sei certa che ci riuscirai – perché sei fuori allenamento con lo studio o perché l’hi-tech non è mai stato il tuo forte – perciò hai paura che la tua autostima ne risenta. Focalizzare l’attenzione sui singoli fattori è una difesa inconsapevole, che nutre l’insicurezza: più resisti al cambiamento, più ti senti arretrata e inadeguata.
Rimanda il giudizio
Come rompere la spirale disfattista? «Allarga la prospettiva, ovvero cerca di limitare i pregiudizi, “studia” le novità e guardale con occhi curiosi», consiglia l’esperto.
«Non a caso, uno studio della Scuola di comunicazione e del Dipartimento di psicologia dell’università della Florida ha dimostrato come le persone più aperte mentalmente siano meno inclini alla tecnofobia. Di questo hai bisogno, cioè di conquistare una visione ampia della trasformazione cui sei chiamata a prendere parte: per esempio, informandoti sul perché è necessaria, sui tempi di attuazione, sulle esperienze di chi ci è già passato ecc. E, soprattutto, rimanda il giudizio (“fa o non fa per me”) solo dopo averla testata. Senza preconcetti ti occuperai con più lucidità dei singoli nodi che ti impensieriscono».
Pensa al miglioramento
Un altro suggerimento per essere meno prevenuta arriva da Luca Solari, docente universitario, ricercatore e imprenditore nel campo delle risorse umane e dell’innovazione: non pensare tanto allo sfruttamento che puoi fare del potenziale presente nella tecnologia digitale, quanto a come il digitale può stimolare e far emergere il tuo potenziale.
A questo escamotage hanno fatto ricorso molti insegnanti quando nelle loro aule sono state introdotte le L.I.M., lavagne interattive multimediali connesse al web: all’inizio hanno accolto l’apparecchio come una seccatura, ma poi hanno capito che li avrebbe resi più creativi, freschi, capaci di sperimentare modalità didattiche inedite e accattivanti per gli alunni “nativi digitali”.
Procedi per gradi
1) Il viaggio nell’innovazione sul lavoro parte dal contatto con l’esperto che insegna la tecnologia. «Dato il campo, è probabile che sia più giovane di te», avverte Marco Naman Borgese. «Se così fosse, non lasciare che il gap generazionale ti indisponga nei suoi confronti e verso ciò che propone».
Ricorda quando anche tu eri giovane: forse ti capitava di non essere presa sul serio da colleghi e capi più anziani, nonostante la tua preparazione, buona volontà e serietà. Fidati del tutor, imparerai con maggior facilità e in minor tempo.
«Certo, sebbene i tecnici siano abituati ad avere a che fare con persone giù di allenamento o poco inclini all’hitech (non credere di essere la sola!), spesso danno per scontate tante cose», continua l’esperto. «Tu non avere paura o vergogna e invita l’istruttore a fornire spiegazioni alla tua portata». Già, perché come dice la massima orientale, “Colui che chiede è uno stupido per cinque minuti, mentre colui che non chiede è uno stolto per sempre”.
2) Sia nella fase di addestramento sia nei primi tempi di utilizzo accetta di procedere a piccoli passi e metti in conto la possibilità di provare confusione e frustrazione. Per inciso, a volte queste ultime sono imputabili non tanto all’inesperienza dell’utente, quanto a difetti della tecnologia. Quindi, non colpevolizzarti ma prendila con filosofia!
Dopo aver mosso i primi step, vedrai che timori, diffidenza e ansia diminuiranno, mentre aumenteranno autonomia, sicurezza e competenza.
3) Per ultimo, apprezza di progredire senza sforzo. Secondo uno studio britannico, quando uno studente adulto raggiunge un livello di comfort con una certa tecnologia, è facile che scatti l’assimilazione informale, cioè quella che avviene involontariamente e casualmente, attraverso l’esperienza e in assenza di un insegnante.
Potresti anche eguagliare (o superare) la destrezza dei più giovani: come dimostra una recente ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Organizational and End User Computing, rispetto agli studenti junior quelli senior arrivano a esprimere atteggiamenti più positivi verso le novità e maggiori sentimenti di competenza e di soddisfazione. Purché siano adeguatamente motivati nell’apprendimento, s’intende.
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Articolo pubblicato sul n. 13 di Starbene in edicola dal 13/03/2018