Intelligenza linguistica: le strategie per parlare in modo efficace

Come te la cavi a intelligenza linguistica? Impara le strategie verbali per lasciare il segno, connetterti all’istante con chi hai davanti, gestire le critiche ed essere convincente



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Dimentica chatbot, AI, messaggi stringati e vocali inascoltabili. Impostare un dialogo in modo efficace non è utile solo per diventare più affascinanti, fare bella figura o averla vinta sul nostro interlocutore. Tutto ciò che vediamo, tocchiamo, udiamo, annusiamo, l’intera percezione della realtà è un fatto linguistico: prende forma attraverso le parole. E qualunque suono siamo in grado di articolare, che sia lemma, fonema o vocabolo, impatta su noi stessi e su chi abbiamo di fronte.

Abbiamo chiesto a Paolo Borzacchiello, uno dei massimi esperti di intelligenza linguistica, di svelarci i segreti per esprimerci e comunicare con gli altri nel modo migliore.

«Le parole che utilizziamo raccontano da dove veniamo e dove vogliamo andare. Non solo: ciò che diciamo suscita delle reazioni chimiche nel nostro cervello (e in quello di chi ci ascolta) che inizia a produrre ormoni a seconda delle emozioni percepite. Il cortisolo per esempio è associato alla paura, la dopamina all’eccitazione e alla concentrazione, l’ossitocina e la serotonina alla fiducia, al rilassamento, alla calma. Ecco perché imparare a utilizzare il linguaggio in modo efficace ci permette di sviluppare interazioni umane appaganti e di raggiungere i nostri obiettivi. A partire dall’inizio di una relazione. Quando si incontra una persona per la prima volta è fondamentale iniziare con il piede giusto».


Qual è il modo migliore per fare una buona prima impressione?

Perché accada la magia, ovvero per fare in modo che il valore che gli altri ci attribuiscono coincida con quello che vorremmo ci fosse riconosciuto, dobbiamo essere gentili ma assertivi, senza perderci in troppe chiacchiere. Faccio degli esempi pratici. Se la prima conversazione si svolge al telefono, non usiamo l’espressione: “Ciao, scusami se ti disturbo”. Pensiamo di essere gentili sincerandoci che l’altro abbia tempo per noi, ma in realtà quello che stiamo comunicando è: “Sono una rompiballe con l’autostima sotto i tacchi e non penso che ciò che sto per dirti sia interessante”.

Chiedere a qualcuno se possiamo disturbarlo mette il nostro interlocutore subito sulla difensiva. Meglio invece dire: “Ciao, sei libero? Vado subito al sodo”. O ancora: “Buongiorno, ti chiamo per una cosa rapida, puoi ora?” Ricordiamo che le parole non sono buone o cattive in sé: tutto dipende dal modo in cui le usiamo. Possono essere finestre che si aprono sul mondo o muri che chiudono l’orizzonte. Sempre durante la prima fase del dialogo, possiamo usare delle frasi “magiche” come “È chiaro” oppure “Ho capito perfettamente”, che permettono al nostro interlocutore di rilassarsi e sentirsi compreso.


Come si attira l’attenzione?

Per fare in modo che chi abbiamo davanti si concentri su ciò che stiamo dicendo, dobbiamo utilizzare una tecnica precisa: prima si espone un problema, poi si prospetta un successo. Esempio: “Per avere buoni risultati nel percorso che hai intrapreso, non hai molte speranze se non ti impegni al massimo. Ma tu hai fatto molta gavetta, sei brava e sono certo che potrai ottenere quello che vuoi”.

In questo modo il sistema nervoso parasimpatico si attiva producendo adrenalina e cortisolo, ormoni collegati alla paura e all’attenzione conseguenti alla prima frase e poi, con la seconda, rilascia dopamina, l’ormone dell’eccitazione che si crea per la prospettiva del raggiungimento di un obiettivo.


Come si costrusce l’alchimia linguistica perfetta?

Attraverso l’utilizzo di metafore. Creando immagini, queste figure retoriche trasformano la realtà e predispongono chi ascolta (o chi legge) a determinate azioni. Un linguaggio figurato o evocativo coinvolge ed emoziona. Però dobbiamo fare attenzione a come lo usiamo, occore capire il contesto. Spesso per esempio vengono usate metafore-guerra per infervorare gli animi e raggiungere degli obiettivi. Come per esempio “Andare in battaglia”, “Combattere una malattia”, “Un nemico da sconfiggere”, “Essere sotto attacco” e via dicendo.

Una tecnica simile può funzionare per esempio per esortare i medici a fare squadra, non è indicata invece per chi è malato, prostrato, fragile o in una situazione di debolezza perché in questo caso potremmo solo peggiorare le cose. Se si vuole indurre una calma determinazione oppure rilassamento, è meglio usare metafore-natura e metafore-viaggio come “Andare a gonfie vele”, “Cogliere i frutti”, “Preparare il terreno”, “Strada in discesa”, “Uscire dalla tempesta”, “Osservare l’orizzonte”. Le figure retoriche “guerriere” indurranno la produzione di adrenalina e cortisolo, le altre attiveranno le endorfine, l’ossitocina e la serotonina. Tutto dipende dall’effetto che vogliamo ottenere.


Si può sviluppare l’empatia parlando?

Con la connessione situazionale, ovvero la capacità di entrare in contatto con i pensieri dell’interlocutore e intuire dove vuole arrivare. Una tecnica efficace consiste nel fare un riepilogo di fatti già noti per instaurare vicinanza per poi introdurre un argomento nuovo. Facciamo un esempio di dialogo con un figlio: “So che non hai voglia di fare i compiti perché a scuola è stata una giornata difficile, però se finisci tutto oggi potremmo pianificare insieme un percorso in bici per domani”.

In questo modo riusciamo a conquistare autorevolezza e fiducia agli occhi di chi ci è vicino. Il discorso cambia se la relazione è virtuale: in questo caso, visto che la naturale empatia creata dalla prossemica (cioè la vicinanza fisica) viene a mancare, bisogna seguire queste regole: mettiamoci sempre al centro dello schermo e manteniamo costantemente lo sguardo puntato sulla videocamera (non sullo schermo). Ogni tanto avviciniamoci al video. Facciamo delle pause e interrompiamo il discorso con brevi divagazioni prima di tornare al punto.


In che modo si risponde alle obiezioni?

Con domande efficaci. Per esempio chiediamo di esplicitare le perplessità avanzate con la domanda: “Cosa intendi esattamente?”. In questo modo diamo la possibilità all’altro di spiegarsi e a noi di capire meglio come formulare la risposta. Le domande di chiarimento dovranno essere di qualità, in modo da far capire che stiamo ascoltando con attenzione. Altre domande-tipo possono essere: “In che modo questo implica quello?”, “Quale aspetto in dettaglio?”, “Quale caratteristica in particolare?”, “Puoi essere più preciso?”.


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