Neurogastronomia, lo chef Mammoliti: «Vi insegno la cucina dei bei ricordi»

Lo chef pluristellato racconta che il filo conduttore dei suoi piatti sono le esperienze, le emozioni. E invita tutti a inventare menu “neurogastronomici” personali, che sposano alimentazione e psiche



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Anche il gusto è un fatto emozionale. Per lo chef Michelangelo Mammoliti, 36 anni e già due stelle Michelin, si è trasformato in una scuola di pensiero, quella che porta avanti nel ristorante La Madernassa di Guarene, tra le Langhe e il Roero.

Dall’incontro-confronto con Francesca Collevasone, psicoterapeuta e docente all'università di Torino, è nato un progetto di cucina neurogastronomica, ricette che, attraverso la stimolazione sensoriale, sorpassano il concetto di “buon piatto” e fanno rivivere il ricordo lontano di un pranzo in famiglia, il profumo di un viaggio, una suggestione accarezzata. E allo spunto personale s’unisce la conferma scientifica, perché ci sono molte ricerche scientifiche sulla neurogastronomia che avvallano il binomio alimentazione e psiche.


Michelangelo, cos’è la neurogastronomia?

«Il termine è stato coniato dal neuroscienziato americano Gordon M. Shepherd. È la disciplina che studia come la mente percepisce il gusto, le consistenze, i colori e i profumi di ogni piatto. Il suo obiettivo, è “comprendere come il cervello crea i sapori che sperimentiamo”, si legge nel libro-manifesto All’origine del gusto. Per lo scienziato, infatti, il sapore di ciò che mangiamo è dovuto in gran parte non al senso del gusto – che è comunque coinvolto insieme a tutti gli altri sensi – ma più che altro all’olfatto, in particolare a quello retronasale. In pratica, masticando e deglutendo, il retrobocca percepisce tutta una serie di piccoli odori emessi dal cibo e poi trasmette le informazioni direttamente al cervello permettendoci di ricostruire un sapore».


Che legame c’è tra sapore e cervello?

«Fra le varie intuizioni della neurogastronomia, quella sul rapporto cibo-memoria è particolarmente interessante. Dice che l’odore del piatto ma anche il suo aspetto e composizione, lasciano un’impronta indelebile in alcune aree del cervello. Ogni alimento, quindi, è una vera e propria cassa di risonanza capace di stimolare un ricordo, un’emozione, qualcosa che va oltre la consapevolezza di chi è convinto solo di mangiare. La tesi finale è che gran parte del sapore risiede nel cervello. Shepherd parla proprio di sistema cerebrale umano del sapore».


Qual è l’effetto, in pratica?

«Di benessere psicofisico. Perché se un sapore ci risulta piacevole e ogni volta che lo sentiamo riproduce le stesse buone sensazioni, entra prepotentemente nella memoria e vi rimane. Permette di provare emozioni gratificanti, quindi ci fa stare bene».


Allora, bisogna riproporre sempre gli stessi piatti, per la tavola della felicità?

«Ognuno di noi ha i suoi piatti del ricordo – legati alla cucina di famiglia, alla tradizione, ai riti della propria infanzia, ai viaggi – ma non si tratta di ripetere alla lettera queste ricette, per creare menu emozionali. L’obiettivo è cercare nel nostro bagaglio gustativo dei sapori per riproporli anche in tutt’altre pietanze ma sempre capaci di suscitare emozioni uniche e personali o che spingano a dire: “Quel piatto mi fa ricordare un preciso momento della mia vita”».


Come si applica un concetto simile in cucina?

«Creando delle ricette che siano in qualche modo legate, in primis, alla memoria di chi sta cucinando. Nel mio caso, un esempio è il piatto “Barbecue”, spaghetti cotti in estrazione di prosciutto crudo di Cuneo, che rimanda (nell’odore) alle grigliate di costine di maiale che faceva mio padre quando ero ragazzino. Un piatto che ho scelto di inserire in carta per continuare a essere legato alla mia famiglia.

Una fuga nel ricordo, è come tornare a casa quando non sono a casa. Non ci sono piatti neurogastronomici per antonomasia, infatti. Ognuno di noi ha i suoi cibi, e sono quelli da cui si può partire per sviluppare tutte le sperimentazioni del caso. Si tratta di mettere in pratica una memoria di sapore, con uno stile personale».


Tu cosa proponi?

«La mia cucina è un omaggio al Piemonte, all’Italia in generale. I piatti sono semplici e naturali, preparati con prodotti del territorio, biologici, che coltivo nel mio orto o che mi forniscono alcuni produttori. La ciclicità, la stagionalità e la sostenibilità è l’impronta della mia cucina: è la natura stessa ad imporsi sulle mie creazioni, e non il contrario. Ogni parte del nostro Paese ci mette a disposizione tantissimi prodotti freschi – frutta e verdura in testa – diversi a seconda del periodo dell’anno. Iniziamo sempre da loro, per vedere cosa riusciamo a tirare fuori in cucina!».


Il Natale è alle porte, che ingredienti “emotivi” ci consigli?

«Sono diversi i sapori che potenziano l’atmosfera natalizia. Ma niente è più suggestivo del profumo degli agrumi in generale e dei mandarini in particolare, e quello della cannella!».



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