Tailleur nero, tacco alto, ventiquattrore: Mara, 38 anni, è la classica donna in carriera. All'apparenza determinata e sicura (in realtà dipendente psicologicamente dagli uomini, specie dal marito), teme l'arrivo del quarantesimo anno d'età. Molto abile nell'attivare conflitti e ostilità verso le altre donne, soprattutto se più giovani e avvenenti, questa donna nega però l'invidia che nutre verso le “rivali”.
«Posso sembrare aggressiva con le donne di cui ricerco prima i difetti dei pregi. Mi capita di criticarle o di giudicarle, ma non per offenderle o per essere cattiva. È vero: a volte, ricorro ai falsi elogi solo per ottenere qualcosa», confessa.
«Infatti, a una donna, come partner professionale, preferisco decisamente un uomo. La concorrenza femminile è spietata, motivo per cui mi è difficile concepire una solidarietà al femminile».
Mara incolpa la madre di averla privata del suo amore e dell'autostima, sin da piccola.
«Ho vissuto sulla mia pelle il comportamento critico e sprezzante esercitato da una donna. Mia madre (a differenza di mio padre, così amorevole e premuroso) non ha mai avuto una parola gentile per me: tutto quello che facevo non andava mai bene. È come se avesse messo al mondo una rivale. Ancora oggi mi capita di sentirmi inadeguata e, per sopravvivere (o forse solo perché vorrei quell'attenzione che mai ho avuto), provo l'irresistibile desiderio di prevaricare le altre, affermarmi, primeggiare».
Eva contro Eva
«Ancora oggi le donne sono protagoniste di una violenza declinata al femminile, animata da rancori ancestrali, invidie profonde, pettegolezzi feroci, sotterfugi maligni finalizzati a distruggere la reputazione della “vittima”» commenta la psicologa Maria Rita Parsi.
«L'immagine della donna rivale che canalizza le sue energie per sminuire, calunniare, mettere al bando, o addirittura in pericolo, altre rappresentanti del suo stesso genere contribuisce ad alimentare e a legittimare la cultura maschilista dominante. Si impone quindi una donna sempre più maschile, aggressiva e spietata in nome dell'emancipazione, con il risultato di distruggere i legami di solidarietà tra colleghe e amiche».
La mamma cattiva
«La madre di Mara ha negato alla figlia qualsiasi manifestazione d'affetto o di rinforzo positivo a tal punto che, oggi, non solo non riesce a fidarsi di un'altra donna, ma tende a riproporre il modello materno diventando, a sua volta, aguzzina di quelle che lei percepisce come rivali», continua Maria Rita Parsi.
«Nella maggior parte dei casi, questa aggressività verso le altre (accompagnata assai spesso dalla falsa coscienza di non aver intenzione di offendere) è sottile, quasi mai fisica: si va dal rifiuto palese di rispondere a un sorriso, al pettegolezzo fino alla concorrenza per la conquista di un uomo».
Una donna per amica
«Il percorso che dovrebbe fare Mara è attingere, quotidianamente, alla preziosa risorsa della solidarietà tra donne, per recuperare la forza dell'attività creativa che, soffocata da rapporti di dipendenza dagli uomini, da contesti lavorativi altamente conflittuali e da ambienti familiari ostili, rischia di rimanere inesplorata. Teorizzava Gandhi: “Nessuno può soffrire, gioire e costruire in modo più puro e nobile di una donna. Se solo le donne del mondo si unissero, mostrerebbero una non-violenza così eroica da sbarazzarsi della bomba atomica e di ogni male come se fosse un semplice pallone”».
Come uscirne
«Per prima cosa, Mara deve imparare ad amare e a conoscere se stessa, i suoi punti di forza e le sue fragilità, per sapersi difendere. Solo allora potrà rispettare i confini psicologici delle altre donne, in modo da non violarli. Un percorso di terapia individuale e familiare sarà fondamentale per recuperare il rapporto con la madre e per riuscire a sviluppare sentimenti di empatia e amicizia verso le altre rappresentanti di genere».
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