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Disturbo da accumulo: che cos’è, sintomi e cure

Chiamato anche disposofobia, fa parte dei disturbi ossessivo-compulsivi. Chi ne soffre accatasta oggetti senza logica e non esce più di casa, per timore di essere derubato. Ecco come aiutare davvero queste persone

iStock




di Oscar Puntel


L’ultimo caso è quello di una donna di quasi 70 anni, trovata morta alla fine di luglio di quest’anno, sepolta dagli stessi oggetti che aveva accumulato nel tempo, in una lussuosa abitazione sul Lungopo di Torino. Una signora, che nella vita aveva svolto la professione di notaio, era benestante e proprietaria di diverse altre case.

Viveva però in una specie di mondo parallelo, che la portava a raccattare e accumulare, nel tempo, oggetti di ogni tipo: immondizia, ferraglia, scarti alimentari. Fino a diventare loro ‘prigioniera’: quegli stessi oggetti sono diventati la sua tomba.

I vigili del fuoco hanno dovuto liberare l’abitazione di tonnellate di cianfrusaglie, prima di trovare il suo corpo privo di vita. Soffriva di disturbo da accumulo” o disposofobia. I manuali di psichiatria lo inseriscono fra ai Disturbi di personalità ossessivo-compulsivo.

Casi del genere li abbiamo visti anche in tv, grazie a una serie americana in onda su Real Time: “Sepolti in Casa”.


UN DISTURBO DELLA PERSONALITA’

Ci spiega Zaira Di Mauro, psicologa di Milano: «La disposofobia è un disturbo della personalità, caratterizzato dall’accumulare oggetti e materiali. Le persone poi presentano difficoltà a liberarsene e tendono quindi a riempire tutti gli spazi di casa con questi oggetti inutili».

Oggetti che si accatastano all’infinito, si impilano in ogni spazio disponibile, finanche in giardino. «Inizialmente, soprattutto alle persone vicine, può essere scambiata per un’attività di collezionismo. Presto, tuttavia, ci si accorge che collezionismo non è, perché non c’è un’organizzazione, la persona accumula cose senza valore, scarti, immondizia e lo fa senza una vera logica. Pensa al fatto che “magari un domani mi può servire”, ma è difficile che venga utilizzato in futuro, proprio perché non ce se ne ricorda la collocazione precisa.

Si comincia col riempire i mobili, quindi cassetti e armadi, poi si passa agli spazi vitali, finché la persona perde il controllo della sua attività: accumula in continuazione senza potersi più fermare», aggiunge la psicologa. «Inoltre, queste persone non fanno entrare nessuno in casa, hanno paura di essere derubati e questo li porta a non uscire più, a non voler andare a lavorare. È come volessero presidiare il loro bottino», aggiunge la psicologa.


COSA SUCCEDE NELLA PSICHE

«Chi soffre di questo disturbo avverte un senso di angoscia e di non comprensione da parte degli altri. E gli oggetti che raccolgono diventano indispensabili per creare un ambiente protettivo.

Dietro la scusa del ‘nessuno mi capisce’, gli oggetti diventano un bottino emotivo, la persona, per colmare questa esplosione di angoscia, riempie la sua vita di oggetti insignificanti. Non riesce a liberarsene perché questi oggetti diventano parte di lei. Quindi disfarsene equivale a perdere una parte del proprio corpo» aggiunge la psicologa.


QUANTI NE SOFFRONO

Secondo le stime riportate dalla Associazione di Psicologia Cognitiva, il comportamento di accumulare oggetti insignificanti (in modo tale da interferire con le normali attività della propria vita) colpisce fra il 2% e il 5% della popolazione. Insorge dopo i 40-50 anni, quindi in età relativamente giovane.


COME SI CURA LA DISPOSOFOBIA

«Il disturbo da accumulo si può curare se si interviene in un momento preciso: in quella fase di passaggio quando la persona si rende conto che c’è qualcosa che non va, che “il comportamento dell’accumulare” è qualcosa di inevitabile, che si stanno riempiendo gli spazi vitali per azioni quotidiane come il dormire o il mangiare.

Si può intervenire con una psicoterapia mirata, in cui si affrontano le angosce che assillano la persona e la sua mancanza di motivazioni. A questo disturbo si associa spesso anche un umore depresso.

Se non si interviene in tempo e il disturbo è già avanzato, allora può intervenire solo lo psichiatra e con terapia farmacologica», spiega la psicologa.

Può essere però d’aiuto anche l’atteggiamento degli amici o dei famigliari: «I parenti possono aiutare la persona ascoltandola e non giudicandola.

Non bisogna mai buttare via oggetti di nascosto, altrimenti si rischia una crisi psicotica in chi soffre di questo disturbo. Un buon trucco è quello di avere un atteggiamento propositivo: “Ti va se ti aiuto a fare pulizia? Che ne dici se diamo qualcosa ai poveri?”, così aiutiamo la persona a liberarsi di alcune cose, che non è buttare. È come se la persona sofferente riuscisse a conferisse all’oggetto una vita nuova, autonoma e propria e a questo punto a staccarsene».


CASI FAMOSI

Non sono solo gli anziani che troviamo nelle cronache dei giornali a soffrire di questo disturbo. Il problema ha colpito anche un grande artista come Andy Warhol, l’inventore della Pop Art, le cui opere sono esposte nei più importanti musei del mondo.

Un caso famoso di disposofobia è quello di due fratelli americani, Homet e Langler Collyer, che nel 1947 vennero trovati morti nella loro sontuosa abitazione sulla Quinta Avenue, a New York, sepolti da giornali, libri, carte.

agosto 2016


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