"Ho una voglia matta di cioccolato!” “Oggi mangerò solo frullati e verdure”. Il cibo è molto più di un semplice nutrimento. È un linguaggio che parla di noi, dei meccanismi che mettiamo in atto per affrontare le difficoltà e lo stress o i momenti conviviali e gioiosi.
Decifrare questo “vocabolario alimentare” ci permette di conoscerci meglio e di migliorare la nostra relazione con quello che portiamo in tavola. Ad aiutarci c’è una vera esperta: la psicoterapeuta Caterina Bianconi.
Il cibo ci identifica?
Aderire a un preciso stile alimentare rientra nel processo di costruzione di identità che ognuno di noi mette in atto non solo durante l’adolescenza ma nel corso dell’intera vita. Chi sceglie di diventare vegano, per esempio, non evita solo di mangiare un certo tipo di proteine ma si identifica con chi ha a cuore la salute dell’ambiente H e il rispetto per gli animali. Esistono, ormai, parecchi studi che mettono in correlazione tratti di personalità e abitudini alimentari.
In psicologia utilizziamo il modello dei Big Five, ovvero delle cinque dimensioni fondamentali che costituiscono la personalità di un individuo: apertura all’esperienza (riguarda la propensione a sperimentare nuove idee, curiosità, creatività), coscienziosità (riflette affidabilità, organizzazione e orientamento al raggiungimento degli obiettivi), estroversione (rappresenta la tendenza a cercare la compagnia degli altri, l’energia sociale e l’entusiasmo), amicalità (indica quanto una persona è cooperativa, altruista, fiduciosa e compassionevole verso gli altri) e nevroticismo (riguarda la stabilità emotiva e la tendenza a sperimentare emozioni negative come ansia, irritabilità e depressione).
Ognuno di noi possiede queste caratteristiche in diversa misura. Seguendo questo schema si è visto che le persone con più alti livelli di coscienziosità (quindi organizzate e caute nel prendere decisioni, stabili emotivamente e orientate al raggiungimento degli obiettivi) sarebbero più inclini a seguire le indicazioni nutrizionali e meno soggette a consumare junk food. Le personalità creative, che non hanno paura ad aprirsi al nuovo, sono quelle più curiose in ambito alimentare: amano assaggiare e sperimentare e raramente sposano un regime dietetico rigido.
Anche gli estroversi e i cooperativi tendono a non “intrappolarsi” in un orizzonte culinario troppo definito perché questo limiterebbe la loro convivialità e socialità naturale. Al contrario una persona con tendenze nevrotiche, cioè con un’alta propensione a sperimentare emozioni negative come ansia e depressione, sarà più soggetta alla disregolazione e alla “fame emotiva”. Spesso queste persone passano da un bisogno di controllo a livello esistenziale, che poi si riflette nell’alimentazione con la manifestazione di disturbi differenti.
Secondo questo schema, chi mangia cosa?
Stando a uno studio pubblicato sulla rivista International Journal of Preventive Medicine, le persone curiose e aperte a nuove esperienze sono più orientate a mangiare cibi insoliti e di tradizioni diverse, con una preferenza verso carne, biscotti e dolci in generale e poca propensione verso la frutta. Le persone coscienziose e riflessive hanno invece una predilezione verso latte, latticini, verdure e noci e sono meno attratte da cibi salati, biscotti e torte.
Agli estroversi piacciono i sapori dolci come il cioccolato, il cacao, i gelati e adorano fast food e cibi pronti. I cooperativi adorano i soft drink, i succhi di frutta e tutti i cibi dal sapore dolce, mentre dimostrano scarso interesse verso gli alimenti salati. Le personalità ad alto nevroticismo manifestano una spiccata preferenza verso alimenti dal gusto molto forte, tutti i cibi salati e grassi o molto dolci, in genere malsani e poco interesse verso latte e latticini.
Quali sono le esigenze di ogni tratto di personalità quando c’è la necessità di mettersi a dieta?
Chi è curioso e aperto al nuovo predilige un piano alimentare che lasci la possibilità di selezionare più abbinamenti, invece che avere sempre la stessa opzione; questo può fare la differenza sia in termini di costanza che di risultati nell osservazione di una dieta. Mentre le persone coscienziose saranno molto organizzate, ma questo comportamento potrebbe scivolare in un iper-controllo che innesca regimi alimentari troppo restrittivi: come chi mangia solo certi cibi e predilige solo determinati tipi di cottura.
Perciò insieme al nutrizionista si deve individuare una strategia alimentare più variata che coinvolga magari una maggiore socialità: insieme agli altri è più facile sperimentare. Al contrario, i più estroversi fanno fatica a sottrarsi alla vita sociale, quindi per loro avere restrizioni è un grande sacrificio. Devono, quindi, scegliere attentamente alcuni appuntamenti alternativi al cibo fruibili in compagnia o ancora utilizzare una mini-guida sviluppata con il nutrizionista per aperitivi o cene light da godere insieme agli altri.
I cooperativi, essendo abituati a relazionarsi con il prossimo, devono disinnescare la tendenza al confronto e promuovere un’attenta riflessione su se stessi, magari con compiti autosservativi (per esempio, iniziando a compilare un diario alimentare durante la dieta). Infine, chi ha alti punteggi in nevroticismo sembra più esposto alla fame emotiva e a comportamenti di discontrollo alimentare. Questo tratto di personalità si associa con la tendenza a rimuginare su emozioni negative: sono i più suscettibili allo stress e alla depressione a cui reagiscono in modo disfunzionale, abbuffandosi senza controllo su alimenti salati o dolcissimi, grassi e malsani.
Come si può aiutare questa categoria più fragile?
Si deve, innanzitutto, lavorare su due piani: il primo è la prevenzione delle abbuffate. Si comincia dalla casa, che deve diventare un posto sicuro evitando di avere disponibilità di grandi quantità di cibo. Meglio fare la spesa giorno per giorno o preferire monoporzioni al formato famiglia, avendo l’accortezza di prevedere spuntini che tutelino dallo sperimentare un gran senso di fame in prossimità dei pasti. Il secondo è sviluppare strategie di coping alternative al cibo.
Ci si arriva rispondendo a domande quali “Cosa mi calma quando sono nervoso?”; “Cosa posso fare per sentirmi meno triste?”. Le soluzioni funzionali sono molteplici e da individuare insieme a un terapeuta, ma devono essere personalizzate ascoltando le esigenze dei pazienti. C’è chi supera un disturbo alimentare facendo sport, chi trova pace nella lettura o suonando una strumento. Lo studio della personalità e dei suoi aspetti psicologici serve a questo: a formulare un piano su misura per sentirsi felici, anche a tavola.
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