C'è chi inizia con un mal di testa. Chi si sente troppo stanco e sempre più svogliato nello svolgere attività che prima lo stimolavano. Chi non dorme per niente o non riesce ad alzarsi al mattino. La depressione può manifestarsi anche così, con dei sintomi atipici che si distinguono da quelli più conosciuti come la tristezza, la voglia di isolarsi e gli sbalzi d’umore.
E sono proprio i segnali più diffusi fra i giovani, come emerge dai molti studi effettuati su di loro, dopo l’impennata di casi registrata con il Covid. In Italia, in generale, soffrono di questo disturbo dell’umore più di 3 milioni di persone, delle quali un milione ha la forma grave, la depressione maggiore (MDD).
Un labirinto dal quale non si esce facilmente e solo se si fanno i passi giusti, rivolgendosi a esperti specializzati e aggiornati sulle ultime cure. Perché per quanto ci si possa sentire forti e in forma nessuno, esposto alle troppe pressioni della vita, è immune dal rischio di “perdersi”. Lo testimonia un campione come Gigi Buffon che, nel clou della sua carriera calcistica, si è trascinato per un anno in questo dedalo.
Depressione, i sintomi insospettabili
La depressione non è un fulmine a ciel sereno, ma lavora nel nostro cervello giorno per giorno, subdolamente. Con sintomi, appunto, non sempre chiari: persino raffreddore e influenza vengono additati inizialmente come responsabili del generale sentirsi giù nel fisico e nel morale. Magari si parte con un mal di testa, un giorno si è più stanchi del solito e, a mano a mano che si fa ingresso nel labirinto, si aggiungono tanti piccoli disturbi, uno dopo l’altro.
E non si pensa “sono depresso”: anzi, si trova sempre una ragione per giustificare quello che si sta provando. E si aspetta troppo per andare dal medico: dalla nuova ricerca SWG condotta con il supporto di Johnson & Johnson emerge che il 65% dei pazienti tende ad aspettare, senza fare nulla, per vedere se la depressione passa da sola e soltanto il 35% di essi pensa che per curarsi ci vogliano i farmaci.
La confusione regna sovrana anche sulla figura di riferimento per uscire dalla malattia: è lo psichiatra solo per il 35% dei malati. Infine una persona su tre crede che non sia possibile guarire. Insomma, fra i più prevale un atteggiamento d’attesa, il pessimismo e la confusione.
Depressione, le soluzioni
«Ancora oggi la depressione è una patologia sottovalutata, percepita come una fase passeggera che non richiede un trattamento tempestivo», commenta il professor Andrea Fiorillo, ordinario di psichiatria presso l’Università della Campania L. Vanvitelli e presidente della Società Europea di Psichiatria.
«Ma è una malattia molto diversa da quella che si pensava fosse diversi anni fa: non ha un solo sintomo, non è soltanto “essere sempre tristi”, che spesso è l’ultimo dei segnali. Comincia con una costellazione sintomatologica molto variegata, emotiva, fisica e cognitiva. Nei giovani abbiamo riscontrato, per esempio, difficoltà di concentrazione e nel mantenere l’attenzione per molto tempo, o l’insonnia. Gli altri sintomi tipici sono la mancanza di piacere, l’apatia, l’astenia, ma la caratteristica principale che differenzia la depressione maggiore, quella più grave, è la mancanza di reattività agli stimoli.
Una persona demoralizzata, per esempio, può ancora godere di un evento piacevole anche se in scala ridotta, o intristirsi per un fatto spiacevole, mentre chi ha la depressione ha perduto questa capacità. La sintomatologia dipende poi moltissimo anche dall’età di esordio perché la patologia nei giovani è molto diversa da quella dell’adulto e dell’anziano, in cui emergono altri sintomi come la paura di essere soli e senza aiuto. Quindi non possiamo parlare più di una malattia unitaria, ma di varie forme che si manifestano in maniera diversa da persona a persona. Però oggi si guarisce bene grazie a trattamenti estremamente efficaci, integrati tra farmaci e psicoterapia. Essere depressi è veramente come entrare in un labirinto però, come in tutti i labirinti, esiste un’uscita».
Depressione, le nuove cure veloci
Il paradosso della depressione sta anche nel fatto che, lo prova la ricerca SWG, sembra “contagiare” chi ne soffre con una serie di pregiudizi. «Si concentrano sulla terapia farmacologica e sulla figura dello psichiatra: per questo noi clinici dobbiamo rendere tali risorse accessibili e meno stigmatizzanti», sottolinea la dottoressa Miriam Olivola, psichiatra dell’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano.
«Non solo una diagnosi precoce è oggi possibile, ma sono disponibili soluzioni terapeutiche efficaci e innovative in grado di migliorare significativamente e in tempi rapidi la qualità della vita dei pazienti. L'orizzonte delle opzioni terapeutiche, infatti, si è notevolmente ampliato e diversificato: accanto ai tradizionali antidepressivi e ansiolitici, si è assistito alla scoperta di nuove classi di farmaci altamente specifici e mirati. Il primo antidepressivo, scoperto negli anni ’50 in maniera fortuita durante il trattamento della tubercolosi, ha rappresentato il punto di partenza di un’era di continua evoluzione nelle neuroscienze», spiega la psichiatra.
«Da allora, la ricerca ha individuato un numero sempre crescente di molecole, sviluppate per rispondere con maggiore precisione alle esigenze dei pazienti, fino all’avvento della cosiddetta psichiatria di precisione. Questo approccio permette interventi farmacologici sempre più mirati, efficaci e tollerabili, capaci di affrontare la molteplicità dei bisogni clinici con profili di sicurezza ottimali».
Tra queste nuove frontiere terapeutiche emergono gli antidepressivi a risposta rapida, una classe innovativa che ha rivoluzionato il trattamento, riducendo significativamente i tempi necessari per ottenere un effetto clinico rispetto agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), il cui effetto richiede in genere 6-8 settimane. Ciò non significa che i farmaci tradizionali siano superati: ogni molecola mantiene il proprio specifico profilo farmacodinamico ed è in grado di rispondere a diverse necessità individuali.
Tuttavia, le innovazioni odierne consentono di ottimizzare i tempi e la qualità delle cure, adattandosi sempre più alle caratteristiche e ai bisogni dei singoli pazienti.
«Questi nuovi farmaci a rapida azione agiscono su tutti i neurotrasmettitori, mentre gli SSRI agiscono solo sulla serotonina», aggiunge il professor Fiorillo. L’efficacia si può avere anche in pochi giorni, gli effetti possono essere prolungati nel tempo e certe molecole sono efficaci anche nelle depressioni che non rispondono ad altri trattamenti. Inoltre, la modalità di somministrazione non è più solo in compresse ma è disponibile anche in spray nasale.
E la tanto temuta dipendenza, uno degli spauracchi di chi evita fino alla fine di usare i farmaci? «È un altro pregiudizio», ribatte Fiorillo. «Se la cura è gestita dallo specialista, personalizzata ed esclude nel tempo qualsiasi tipo di fai da te, gli antidepressivi non danno dipendenza. Però non bisogna sospenderli di colpo ma gradualmente, così come vanno assunti con tempistiche e modalità precise. Possono invece dare dipendenza, soprattutto psicologica, le benzodiazepine, comunemente chiamate ansiolitici, ed è per questo che di solito vanno prescritte per periodi brevi».
Lo psichiata non è il medico dei matti
Sembra anacronistico parlare dello psichiatra in questi termini ma sono i fatti che ce lo confermano: secondo l’indagine SWG solo il 35% dei pazienti affetti da depressione maggiore, quindi quelli che hanno più bisogno del supporto specialistico, pensa che dovrebbe innanzitutto rivolgersi a uno psichiatra.
«All’inizio ci si rivolge al medico di medicina generale, successivamente allo psicologo e solo in terza battuta si arriva allo psichiatra», conferma il professor Fiorillo. «Purtroppo questo è un problema prevalentemente italiano, molto legato a uno stigma che è ancora radicato nella nostra società. Questo specialista, in alcuni contesti, è ancora considerato il “medico dei pazzi”, e ciò ritarda sia la diagnosi che le cure. Il primo problema è il riconoscimento dei sintomi della depressione».
E le altre figure professionali servono? «Certamente, e infatti bisognerebbe migliorare la collaborazione con il medico di medicina generale, implementare la sua formazione, le capacità di diagnosi e di riconoscimento, così come si fa con gli psicoterapeuti e quindi con persone che sono addestrate a identificare il problema. E poi la scelta della terapia deve essere orientata a seconda delle caratteristiche della persona, perché per un giovane può essere più efficace un certo tipo di trattamento, sia farmacologico che psicologico, mentre per una persona adulta, anziana, occorre un altro tipo di approccio», conclude lo psichiatra.
Depressione, il ruolo della famiglia
Sono i famigliari, e in particolare le donne, secondo la ricerca SWG, ad assumersi con maggiore frequenza la responsabilità dell’assistenza dei propri cari che soffrono di depressione. L’82% dei caregiver offre costante sostegno emotivo e l’81% ha portato il paziente a cercare aiuto, anche individuando direttamente gli specialisti adeguati, creando poi una rete che spesso rappresenta l’ossatura delle associazioni di pazienti.
Ma c’è un prezzo da pagare: il 40% dei caregiver ha riportato un forte impatto sulla vita familiare e sociale (36%), con difficoltà lavorative (34%) ed effetti fisici (la qualità del sonno è peggiorata nel 34% dei casi). Non a caso, il 61% dei caregiver sente la necessità di avere un supporto psicologico e di condividere le esperienze vissute (70%). Nonostante questo, la maggioranza dice di aver trovato un equilibrio tra assistenza e vita privata.
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