Con oltre 10mila mostre all’anno tra arte antica e retrospettive moderne e contemporanee, l’Italia si conferma tra i Paesi più dinamici e propositivi in questo settore. Tutti eventi che sono, sempre, qualcosa in più rispetto a un qualsiasi passatempo, a un riempitivo domenicale, a un rito mondano, che magari interessa fino a un certo punto o ci lascia perplessi su chi e cosa andare a vedere.
Le ragioni, profonde, per staccare il biglietto di una rassegna artistica (e fare parte di quei 56 milioni di visitatori che affollano le sale di musei e istituzioni pubbliche e private, secondo gli ultimi dati del Ministero della Cultura) ce le spiega il professor Stefano Mastandrea, che con il suo libro Psicologia dell’arte (Carocci editore) aiuta anche i principianti (e riottosi) ad affrontare il mondo dell’arte con un approccio diverso e a renderlo, auspicabilmente, accessibile a tutti.
Professor Mastandrea, che bisogni di “testa e cuore” soddisfa l’arte?
L’arte, di per sé, è origine di piacere e, quindi, si traduce in un vantaggio di gratificazione per gli individui che la fruiscono. Poi, ha la capacità (e la potenzialità) di produrre nell’osservatore un pensiero critico, attraverso l’esperienza immaginativa e la sfida intellettuale. La comprensione del suo significato, a volte, è una competizione e, perciò, rappresenta una sorta di problem solving cognitivo; attiva anche emozioni nel pubblico: non solo positive ma anche negative come l’inquietudine, il disgusto, la malinconia.
Sappiamo bene che le impressioni, le suggestioni hanno una forte rilevanza adattiva e possono portare a uno stato di scarico della tensione e di conseguente benessere. Inoltre, l’arte può essere considerata uno strumento utile per stabilire il dialogo con l’altro, per conoscere diversità e differenze sulla visione del mondo.
Quando è che ci coinvolge?
Quando la comprendiamo e quando si risveglia in noi una risonanza affettiva e psichica. Succede se durante una visita in un museo riusciamo a vivere un’esperienza estetica: quest’ultima, induce nello spettatore un coinvolgimento profondo, fatto di sensazioni (di qualsiasi genere), riflessione, ammirazione e fascinazione. Può capitare con un oggetto di arte visiva ma anche con la musica, la letteratura.
Ma perché apprezziamo un po’ tutti le opere dell’arte figurativa mentre ci blocchiamo di fronte alle creazioni moderne?
Più è fluido il processo di elaborazione di un oggetto da parte del percettore, più positiva risulterà la risposta estetica (fluidità dell’elaborazione). L’arte figurativa produce piacere e interesse perché più comprensibile, semplice e immediata rispetto a quella astratta. Un albero è un albero e se ne possono ammirare la fattura, i colori, il chiaroscuro, l’orientamento dei rami piegati dal vento. In un quadro di arte antica ci sono anche tanti elementi simbolici, metaforici ma di fatto c’è sempre una connotazione più familiare e vicina a noi.
Perciò con la produzione dal Novecento in poi abbiamo più difficoltà?
Da svariate ricerche è emerso come dato stabile e robusto che molte persone non capiscono il significato di un oggetto il quale non rimanda a una rappresentazione realistica o naturale. Ammettono anche di non possedere “gli strumenti per comprendere”.
Dal punto di vista psicologico, la loro si potrebbe definire un’esperienza non conclusa, con una forte componente di frustrazione: perché, non essendo in grado di interpretare linee, forme e colori come costitutivi di una dimensione estetica comprensibile e degna di essere apprezzata, non riescono a cogliere le potenzialità del linguaggio visivo di quell’artista, che rimane così inespresso.
Non dovrebbe andare così, però, davanti a un quadro di Picasso, per citare un nome conosciutissimo…
No, infatti. Non bisogna essere esperti d’arte moderna o contemporanea per andare a vedere qualche kermesse in tema. All’inizio, può bastare una lettura psicopercettiva dell’opera, in modo da rendere più accessibile ed esteticamente soddisfacente la visita, tale da sollecitare analoghe esperienze future. Prima di partire in questo viaggio, un paio di raccomandazioni.
Cioè, di fronte a immagini molto semplici o lineari (tipo grandi campi cromatici o grafismi essenziali) evitiamo frasi come: “Questo lo potevo fare anche io”. È solo un modo per togliere valore al senso della tela e negare che dietro a un quadro, anche semplicissimo, c’è un lavoro lungo e faticoso che l’artista porta avanti per anni. Il secondo è quello di non fermarsi al colpo d’occhio, all’impressione iniziale “mi piace / non mi piace” altrimenti diventa un test sterile, incompleto, improduttivo.
Cosa ci vuole, insomma, per superare la diffidenza verso un certo tipo di creatività?
Essere aperti e curiosi. Essere stimolati cognitivamente da ciò che abbiamo di fronte, soprattutto in quei casi in cui la composizione è formata solo da linee, forme e colori. Sono questi gli elementi strutturanti di un’opera astratta e ciascuno ha un significato nelle diverse correnti artistiche dal Novecento in poi. Faccio qualche esempio, che certamente non è esauriente ma dà l’idea di cosa stiamo parlando.
Ogni linea disegnata su un foglio rimanda all’azione compiuta e traccia il limite tra l’oggetto e lo sfondo: se orizzontale esprime un significato di stabilità; verticale può significare innalzamento, slancio mentre diagonale racconta instabilità e, quindi, movimento. Le stesse cose si possono dire delle forme dove, poniamo caso, il quadrato nella simmetria dei suoi quattro lati è sinonimo di solidità e fermezza; il cerchio comunica un’impressione di rotolamento e di movimento circolare. Per non parlare del contenuto espressivo ed emozionale dei colori, che è ricchissimo di interpretazioni.
Il salto di qualità quando si compie?
Nel momento in cui queste realizzazioni ci sollecitano e abbiamo voglia di andare oltre le apparenze, di capire la storia e l’evoluzione di un certo stile. Di come, insomma, le più importanti correnti del Novecento utilizzano i loro aspetti strutturali. È così che si conquista poco a poco la cosiddetta “fluidità estetica” che ci porta a conoscere sempre di più, a girare per mostre e musei e a trarne esperienze significative.
Quali?
Ogni prodotto artistico può avere un valore per noi. Spesso viene utilizzata la metafora dell’arte come specchio in cui possiamo vedere parti e vissuti personali. Penso che questo possa essere un approccio utilissimo e fecondo quando si conosce poco dell’autore.
Ma il piacere è il fine ultimo di una visita?
La soddisfazione è importante, perché da un punto di vista comportamentale ciò che ci piace viene in genere riprodotto, ripetuto. Se una persona ci piace la vogliamo rivedere. Se l’esperienza in un museo è stata soddisfacente la vogliamo replicare, o vedere anche altre opere di un pittore che ci ha colpito e attratto.
Il piacere può anche essere sufficiente, dipende da quello che una persona cerca. Ma possono essere importanti anche le emozioni negative che viviamo. Soprattutto nell’arte contemporanea, infatti, non si parla più di bello, ma di interessante e anche inquietante e ansiogeno.
Ma la loro valenza psicologica qual è?
Pure gli episodi emozionali negativi sono importanti perché l’arte viene vissuta con una distanza psicologica. Sappiamo che si tratta di oggetti che non esistono realmente, ma sono raffigurazioni della realtà. In quanto tali li posso ammirare, perché mi coinvolgono, ma fino a un certo punto.
Abbiamo sempre la possibilità, una volta conclusa la visita, di ritornare alla nostra realtà. Ma con un vissuto personale più ricco di colori emotivi.
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