«Nel mondo del lavoro è in corso un’epidemia di burnout, cioè di esaurimento psicofisico ed emozionale: lo sa bene chi va a letto senza avere sonno e si risveglia stanco morto, così come chi prova un fastidio spropositato per la vicinanza e il comportamento di colleghi e superiori». Questo l’allarme lanciato da Bruce Daisley, comunicatore ed ex pezzo grosso di alcune delle aziende più innovative degli ultimi anni, come Twitter e Google, nel nuovo libro Smetti di odiare il lunedì (Newton Compton, 10 €).
Dunque non abbiamo scampo perché riniziare un’altra settimana in ufficio è un “tormento”? Dobbiamo rinunciare alla passione e alla gioia sul lavoro e rassegnarci a sentirci oppressi e logorati? No, a patto che non aspettiamo interventi dall’alto ma ci attiviamo in prima persona per cambiare ciò che non funziona. Vediamo come.
Riconoscere i traguardi
In molti casi. Il lavoro pesa perché non se ne vede mai la fine: come Sisifo, spingiamo il nostro macigno verso la cima della montagna, salvo poi vederlo rotolare a valle e ricominciare tutto daccapo.
«La soluzione è rendersi conto ogni giorno di aver realizzato un progresso significativo e concreto in qualcosa», afferma Bruce Daisley. «Il raggiungimento di un traguardo, micro o macro che sia, dà senso al nostro operato, ci fa sentire più efficienti e ha un impatto positivo sulla nostra autostima».
Certo, arrivare da qualche parte non è facile, dal momento che tendiamo a disperderci fra mille richieste e stimoli. Le condizioni per riuscirci sono due: ritagliarsi momenti di solitudine, se non fisica almeno digitale (magari silenziando lo smartphone), e ridimensionare il multitasking, cioè l’abitudine di buttarsi in tante attività contemporaneamente. Grazie a queste strategie concentriamo le energie, raggiungiamo livelli di ragionamento più profondi e liberiamo la creatività: tutti esiti che contribuiscono al “senso di conquista” e alla soddisfazione.
Sapersi ricompensare
A proposito di risultati: è indubbio che ottenere riconoscimenti verbali o tangibili per gli obiettivi raggiunti risollevi il morale e la motivazione. Il problema è che oggigiorno i “premi” sono merce rara. La soluzione arriva da uno studio dell’Università del Maryland, che suggerisce di gratificarsi da soli quando siamo consapevoli di avere fatto la nostra parte e di esserci spesi al massimo delle nostre possibilità.
«Le piccole ricompense concesse a se stessi aumentano l’engagement, cioè lo stato psicologico positivo di connessione e di coinvolgimento con il proprio lavoro, il quale è direttamente collegato alla persistenza, all’entusiasmo e all’orgoglio», rivelano gli autori dello studio. Come dire: si crea
un circolo virtuoso in cui l’auto-riconoscimento spinge a rinnovare l’impegno e a passare sopra alle difficoltà di tutti i giorni.
Ridere con i colleghi
Un’occupazione che ci esaurisce non è uno scherzo, eppure se riuscissimo a ridere di più con chi ci circonda riusciremmo a sopportarla meglio, se non a farcela piacere. Secondo Daisley, infatti, «gli esseri umani ridono per connettersi tra loro e per entrare in sincronia, cioè in una coordinazione che regala armonia, gioia, persino euforia».
Con questo, non significa che dobbiamo diventare i buffoni del team e cercare di far ridere a tutti i costi colleghi e superiori: basta reagire con una risata a ciò che ci lascia spiazzati o ci stupisce positivamente, una risata che molto probabilmente contagerà i presenti, provocando l’effetto sincronia di cui sopra.
«Non solo: ridendo segnaliamo a noi stessi, prima che agli altri, che siamo in un ambiente sicuro, che possiamo finalmente abbassare la guardia e, pericò, dare il nostro meglio», aggiunge l’esperto.
Parlare più serenamente
E se il logoramento fosse dovuto proprio alle relazioni, per esempio alle incomprensioni con un collega? Proviamo a invitare la persona in questione a una passeggiata di almeno una decina di minuti con noi, meglio se a contatto con la natura (in mancanza di un parco, anche un viale alberato può fare al caso nostro). «Non si tratta di distrarsi, anzi: camminando fianco a fianco in un contesto differente da quello a cui siamo abituati, inneschiamo il pensiero divergente, cioè stimoliamo nuove idee, riorganizziamo i nostri pensieri e li presentiamo in modo inedito», motiva Daisley.
Attenzione: siccome è altamente probabile che tutto ciò succederà anche al collega, partiamo con il proposito di ascoltare le sue parole senza pregiudizi. Forse non riusciremo a farci capire del tutto o a comprendere le sue posizioni, ma almeno avremo inaugurato un canale alternativo (e meno stressante) di comunicazione, che potrà tornarci utile in futuro.
L'ESERCIZIO ANTI-ANSIA
Un’ingiustizia subita, un errore commesso, un rimprovero, un litigio: gli eventi che influiscono negativamente sul lavoro sono tanti. Per cercare di gestirne l’impatto emotivo, possiamo seguire il consiglio di Joanne Frattaroli-Zinger, docente di Psicologia alla University of California Irvine, e mettere per iscritto i nostri pensieri e sentimenti più profondi.
Non basta però farlo una tantum: affinché l’esercizio sia proficuo, servono dai 15 ai 30 minuti per 3-5 giorni consecutivi. Alla fine, assicura la studiosa, si familiarizza con la negatività, si comprendono meglio le proprie reazioni e si arriva a provare meno ansia. Insomma, non solo s’allevia il malessere attuale, ma si diventa anche più resilienti, cioè ci si prepara a resistere meglio al prossimo colpo.
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Articolo pubblicato sul numero 10 di Starbene in edicola dal 18 febbraio 2020