Il 90% degli italiani nutre un rancore, secondo una recente ricerca di Trustpilot, una piattaforma digitale internazionale (it.trustpilot.com) di recensioni. E, stando all’indagine siamo in buona compagnia: inglesi, francesi, americani e australiani covano questo sentimento con simile frequenza.
Abbiamo chiesto a Patrizia Vaccaro, psicologa e psicoterapeuta a Milano, di commentare i dati dello studio per spiegarci il motivo di questa astiosa epidemia emotiva e come si può imparare a riconoscerla e superarla. Innanzitutto partiamo dalla definizione.
Che cos’è il rancore?
È un sentimento molto complesso: un mix di rabbia, dolore, frustrazione e delusione che spesso contiene un’intenzione malevola, e a differenza di altri stati d’animo, può durare a lungo nel tempo. Il rancoroso non solo si sente ferito: desidera anche che chi lo ha deluso subisca la stessa sorte. Il classico “pan per focaccia”. E questo in realtà non fa che amplificare la sofferenza perché impedisce di rielaborare l’evento che ha causato dolore e non permette di andare oltre.
Il tradimento viene indicato come la causa scatenante più frequente. Perché?
Sono molte le declinazioni emotive in cui si può provare delusione e sentirsi traditi: può essere una relazione extraconiugale del partner, ma anche un amico che è sparito in un momento difficile, o ancora un collega che ti ha fatto le scarpe o qualcuno a cui hai prestato qualcosa e non ha onorato il suo debito. Dietro questo sentimento c’è sempre la rottura della fiducia verso gli altri: da lì inizia a formarsi il sentimento di rivalsa. Il tradimento è come un grande contenitore da cui derivano tutte le altre applicazioni del rancore.
E la vergogna ha un ruolo in questa dinamica?
Diciamo che è una conseguenza. Se qualcuno ti ha fatto del male, soprattutto se è una persona di cui ti fidavi, ti senti ingannato e ti vergogni di non essertene accorto. Possiamo dire che la vergogna è la benzina del rancore: lo alimenta perché ci sentiamo mortificati di fronte al mondo di non essere stati abbastanza attenti da capire come stavano andando le cose. Si prova per esempio anche nel caso di un raggiro, o se si viene derisi per il proprio aspetto da amici e conoscenti. Sembra strano, ma spesso insieme alla vergogna in genere arriva anche il senso di colpa: se questa persona ha agito in questo modo, me lo sono meritato.
Si entra in una sorta di rimuginio costante da cui è difficile uscire perché si continua a rivivere la situazione frustrante. Questo atteggiamento poi porta a un comportamento rabbioso, diffidente e a volte aggressivo verso gli altri. Facciamo l’esempio di un collega che, magari meno meritevole di te, ha ottenuto una promozione al tuo posto. Se non riesci a fartene una ragione, inizi a ostacolare il lavoro di gruppo o a creare tensioni in ufficio. In questo modo, da un torto subito inneschi una dinamica di autosabotaggio, per cui poi quella promozione non la otterrai mai. Per non parlare delle ripercussioni sociali: più si agisce in questa maniera, più ci si isola.
Nella ricerca si dice che il Covid è una causa diretta di un atteggiamento rancoroso degli italiani verso il prossimo. È proprio così?
La pandemia ha scatenato un’estrema aggressività a livello sociale. Basta osservare ciò che succede per esempio sui social sul dibattito no vax. I vaccinati provano rancore verso chi si è astenuto perché li ritiene causa del prolungarsi del contagio, mentre chi non ha aderito alla campagna vaccinale cova risentimento verso un obbligo che considera ingiusto. Tutti noi poi stiamo vivendo una fase sospesa in cui è facile sviluppare rancore verso questo nemico invisibile che ci ha rivoluzionato la vita.
A causa del virus, alcuni hanno perso il lavoro, altri una persona cara. Per tutti la pandemia ha segnato una linea di confine: c’è un prima e un dopo. In questo senso il Covid rappresenta l’imprevisto, l’evento che non riusciamo a gestire. E qui di nuovo dobbiamo fare i conti con noi stessi. Nutrire un atteggiamento rancoroso a causa di un evento al di fuori del nostro controllo non fa che aumentare il nostro senso di impotenza, e quindi di frustrazione. Allora la domanda da farsi è: quanto mi serve rimanere agganciato a un sentimento inutile? Senza calcolare poi le ricadute a livello psicosomatico. Emicrania, gastriti, reflusso gastroesofageo spesso sono scatenati proprio da un disfunzionamento emotivo.
Come si supera il risentimento?
Occorre passare da una fase di accettazione, come per il lutto. Per farlo, bisogna iniziare a osservare chi o cosa ci fa soffrire con maggiore distacco, come se non fossimo noi sotto i riflettori, e affrontarlo. Guardare il proprio dolore e accettarlo per quello che è, senza evitarlo. Inoltre, è molto importante analizzare il ruolo che noi stessi abbiamo avuto all’interno di questa dinamica dolorosa. E questo non significa, come sottolineavo prima, prendersi la colpa di quello che ha scatenato il nostro senso di rivalsa ma solo capire come ci stavamo comportando in quel momento.
Assolversi per esempio, o smettere di vergognarsi se qualcuno ci ha preso in giro o ci ha trattato male, è un modo per azzerare il rancore. Ma anche ammettere che in una relazione si è sempre in due, e che quindi se qualcosa non ha funzionato abbiamo la nostra parte di responsabilità. Insomma diventare consapevoli delle nostre azioni è il primo passo verso la presa di coscienza della realtà. Poi occorre riconquistare la fiducia nel prossimo, superando la delusione per le aspettative tradite. Tutti commettiamo degli errori: ammetterlo ci consente di sviluppare empatia verso l’altro e traghettare verso una vita più libera (e più serena).
Mettiti nei panni altrui
«L’esercizio che propongo qui serve a “sgonfiare” il rancore, come se fosse un palloncino che buchiamo con un ago», afferma Patrizia Vaccaro.
«Lo strumento cognitivo di cui abbiamo bisogno si chiama empatia. Scegli un ambiente appartato e siediti. Ora chiudi gli occhi e visualizza una persona che ti ha fatto un torto o che ti ha deluso profondamente. Osserva il rancore che provi nei suoi confronti. Poi immagina che lo stesso individuo sia in un momento di difficoltà perché ha appena ricevuto una brutta notizia, la perdita del lavoro per esempio. Poi, gira l’interruttore e pensa di aver ricevuto la stessa comunicazione proprio ora. Come ti senti? Che sensazioni arrivano? Cosa provi ora verso quella persona? Puoi anche prendere un foglio di carta e trascrivere le emozioni in atto e come cambiano».
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