Come imparare ad amarci di più

L’autostima assomiglia a una diligenza ai tempi del Far West: a ogni passo, rischia l’assalto di quelle paure che cancellano valore e fiducia personali. Ma l’attacco si respinge su due fronti: realismo e maggiore indulgenza nei confronti di noi stessi. Parola di esperta



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Niente è più bersagliato dell’autostima nel corso della vita, e lo scalfimento ha un raggio largo e non risparmia praticamente nessuno. La quantità dello stillicidio cambia da persona a persona, e da età a età, ma di fatto a chi non è capitato di non sentirsi mai abbastanza adulto, bello, intelligente, importante, amato o capace di amare? L’esistenza, insomma, appare come una continua sfida a chi è “più qualcosa” e, guarda caso, a perdere siamo proprio noi.

«Non importa quanto corriamo, quanta fatica facciamo per raggiungere gli obiettivi e sentirci realizzati. Quando non crediamo in noi stessi, quando ci diamo poco peso, ci mettiamo sempre in discussione, finendo per autosabotarci», introduce Lucrezia Marino, che nel suo nuovissimo, primo libro Mai abbastanza (Sperling & Kupfer) analizza cause e fornisce soluzioni per riscoprire il valore di sé e imparare a volerci un po’ più bene.

Starbene le ha rivolto alcune domande per capire come liberare la nostra autostima da strati di paure e incertezze.


Dottoressa Marino, l’autostima è un sostegno indispensabile?

È lo sguardo che abbiamo su noi stessi. Un’autovalutazione essenziale e concreta poiché da essa dipende non solo la percezione che abbiamo della nostra persona, ma anche le scelte che facciamo e le decisioni importanti che prendiamo, dal lavoro all’amore che pensiamo di meritare. In ogni caso, tutte le scuole psicologiche concordano nel ritenere l’autostima indispensabile per il buon funzionamento di ogni individuo.


Ha una struttura ideale?

Ci possiamo immaginare l’autostima come una linea, dove ai poli opposti ci sono le due situazioni più problematiche: è deficitaria (non sono mai abbastanza) o, al contrario, è esagerata (sono sempre troppo). Al centro, invece, si colloca la sua configurazione ottimale: succede quando riusciamo a tenere insieme le nostre parti ben funzionanti con i nostri limiti. In soldoni, chi ha autostima si conosce bene, quindi sa di avere risorse ma anche manchevolezze.


Questo nucleo interno è statico o in continuo movimento?

Noi non nasciamo con l’autostima incorporata, ma è un costrutto che si forma con la crescita. Se va tutto bene, con l’ingresso nell’età adulta dovremmo avere una valutazione realistica di noi stessi: stabile e flessibile nello stesso tempo. E le conseguenze positive di questo autoconvincimento emergeranno, di volta in volta, nelle situazioni che dovremo affrontare.


Quindi?

Possedere un senso interiore di autoefficacia genera la consapevolezza di essere in grado di affrontare le sfide della vita, confidando nelle nostre reali capacità. Perciò, ci sentiremo più abili ed efficaci in alcuni contesti e meno in altri, ma questo non ci metterà in crisi. Perché l’autostima altro non è che è l’amore che proviamo per noi stessi, trattandoci con indulgenza, tollerando gli inciampi e permettendoci di riprovarci, facendo il tifo per noi, prestando ascolto a bisogni e desideri, essendo presenti a noi stessi. Lontano da qualsiasi idealizzazione: per questo l’autostima non è esaltazione di sé ma una visione con completezza, con contezza di qualità e limiti.


Ma perché spesso siamo vittime del “non sono mai abbastanza”?

La cosa più difficile da affrontare è fare i conti con le nostre parti negative, che ci piacciono meno o che non danno i risultati desiderati. Cadiamo in molti casi nella trappola di sperare di essere “sempre bravi, sempre perfetti, sempre pronti”. Ma ciò non succede (quasi) mai, perché qualsiasi cosa si può fare meglio o con più precisione. Un’evidenza che non riusciamo a sopportare, questo è il problema. Mentre tollerare la frustrazione è essenziale per la nostra autostima: l’attenzione andrebbe spostata su ciò che facciamo bene, gli errori li possiamo compensare un’altra volta.


Altri ostacoli?

La difficoltà di sopportare lo sguardo degli altri. La verità sarebbe molto più facile da digerire se tenessimo conto di un passaggio: quando qualcuno dice qualcosa di noi, non ci sta veramente descrivendo, esprime solo come ci vede. Si tratta di un’opinione che, anche se negativa, dovremmo imparare ad accettare. Anzi, potrebbe tornarci utile per migliorare qualche aspetto del nostro carattere, della nostra vita o del nostro lavoro, per esempio.


Poi, c’è il timore di non essere all’altezza…

L’autosabotaggio nasce prima di muovere anche solo un dito. Convinti come siamo di non sapere fare (o dire) una certa cosa, non proviamo neppure a iniziare. È la mancanza di fiducia che non ci fa credere in noi stessi, e quindi la profezia si autoavvera e conferma l’idea di partenza. Così come tanti danni li fa il timore delle novità, dei cambiamenti. Siamo spaventati? Tentiamoci lo stesso, le cose si possono fare anche con la paura, che non è necessariamente un nemico. Come tutte le emozioni, ci può offrire informazioni utili per muoverci meglio in un contesto sconosciuto.


Il famoso motto “se vuoi puoi” è un orientamento illuminante?

A essere sinceri, l’equazione “volerepotere” non dà un risultato automatico. Credere che tutto ciò che desideriamo si possa concretizzare con la sola forza di volontà è utopistico, ci possono essere mille problematiche che ci ostacolano. Al netto di una considerazione che ci riporta con i piedi per terra, una buona idea di noi stessi ha un impatto importante nell’autorealizzazione.


Se pensiamo di potercela fare e ne siamo convinti, le probabilità di riuscirci sono maggiori. Un altro ingrediente stuzzicante?

Rimettersi continuamente in discussione, e in ciò è essenziale abituarsi a guardarsi sempre dentro e provare a cambiare dove c’è un margine di miglioramento, a modificare ciò che non ci piace oppure, se non è possibile, accettare alcuni tratti che abbiamo. Non è un’operazione totalmente “solitaria” perché il confronto con gli altri è sempre stimolante, costruttivo. Nessuno basta mai a se stesso. Ho parlato di apertura allo scambio, al dialogo comunque, non di dipendenza dal giudizio esterno: quanto valiamo e come siamo lo decidiamo solo noi.


Solo noi siamo artefici di noi stessi?

Quando l’autostima è regolata si sa che ciò che viene da noi dipende da noi, non è l’effetto di quello che succede fuori, perché non siamo dei contenitori in cui gli altri mettono qualcosa e noi semplicemente lo prendiamo. Se abbiamo una posizione attiva, sappiamo bene che ci sono delle situazioni su cui non abbiamo controllo ma gran parte della nostra vita dipende dalle nostre azioni, dalle nostre parole e scelte.


Arrivati a questo punto, cosa cambia?

Finché l’autostima è deficitaria, ci si chiede: “sono abbastanza per fare quello?”; “sono abbastanza per quest’altro?; “sono abbastanza come persona?”. Se raggiunge un buon livello, invece, ci sentiremo sempre “sufficientemente buoni” perché abbiamo compreso che dipende dalla situazione. In alcuni frangenti saremo meglio, in altri no poiché ci sarà qualcuno più bravo di noi. Una constatazione che non sarà più una caratteristica identitaria della nostra esistenza, ma solo contestuale.


Qual è la migliore risposta che ci possiamo dare?

Le domande non riguardano più l’autostima stessa quanto la pienezza, la piacevolezza della nostra vita, il fatto che i nostri valori siano rispecchiati dalle nostre azioni. Cambia lo sguardo che abbiamo su di noi, e il mondo in generale.


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