Come educare i figli alla parità di genere

Formare già in famiglia adulti autonomi e soddisfatti e raggiungere la parità tra maschi e femmine. Come fare? Ci vuole il training giusto. I consigli del coach Girolamo Grammatico



64107

Anche per fare i genitori ci vuole il training giusto. Se ne parla nel libro Padri e figlie. Allenarsi alla parità di genere (Ultra, 14 €) che, nonostante il titolo, è un manuale per genitori di entrambi i sessi. Padri e madri che hanno una figlia femmina e la vogliono crescere felice, libera e indipendente. Oppure un figlio maschio da educare come un uomo nuovo (e non un maschio alfa). L’autore è Girolamo Grammatico, life e business coach, che per 17 anni ha lavorato con i senzatetto e oggi si occupa di genitorialità. Il suo 

254276metodo non fa differenza di genere, ma mira al pieno sviluppo del potenziale di ogni bambino, per diventare un adulto “realizzato” di domani. Che si chiami Tommaso o Carlotta. Noi di Starbene lo abbiamo intervistato.


Ancora oggi, la parità di genere non è così scontata nella formazione dei bambini…

Purtroppo, non lo è. La parità di genere si realizza soltanto se si abbattono certi stereotipi, pregiudizi, condizionamenti della cultura patriarcale ancora vivi in tante famiglie. I genitori dovrebbero “lavorare” su questo snodo.


Perché applichiamo dei modelli antiquati?

Noi viviamo immersi nei preconcetti, in fondo il 99% della nostra genitorialità l’apprendiamo dall’esperienza dei nostri genitori oppure navigando a vista. Quando cresciamo un figlio, ci affidiamo in gran parte all’istinto che, in realtà, è guidato dai pregiudizi.


Quali sono i luoghi comuni ancora prevalenti?

I più forti riguardano i padri, che si dividono in due categorie. Una minoranza che crede ancora di dover portare lo stipendio a casa e che è bene che i figli li cresca la madre. L’altra parte, in crescita, incarna la figura del “padre perfetto”: bravo dato che aiuta la moglie con i figli e in casa. Ma anche lui diventa uno stereotipo: elogiandolo si amplifica l’altra visione, cioè che un uomo non si deve occupare della cura familiare. L’economia domestica attiene agli abitanti della casa, non al papà o alla mamma come tale. La divisione è solo organizzativa, non di genere. Altrimenti vengono alimentati altri pregiudizi.


E le madri cosa c’entrano con il patriarcato?

Spesso, lo condividono, seppure involontariamente. Per un’abitudine antica le donne tendono a deresponsabilizzare gli uomini nella routine familiare, con l’alibi che sono lenti, non sanno fare certe cose ecc. Il problema è sempre del patriarcato: ha avvalorato la teoria che ci siano delle diversità biologiche che, in quanto naturali, vanno difese. Invece sono solo costruzioni sociali, che sono state utili per un certo periodo di tempo, a volte risultano utili anche ora ma è arrivato il momento di svoltare.


Che effetto hanno i condizionamenti sui figli?

I papà, quando nasce una femmina, hanno l’ansia di doverla proteggere poiché il mondo è “cattivo”, per usare un altro luogo comune. Perciò, la ragazza deve attenersi a una serie di cliché (torna a casa presto, non dare confidenza, vestiti sobria e così dicendo) per difendersi. Ma con questa mentalità educhiamo diversamente bambine e bambini, creando una disparità pericolosa: ragazzine insicure e remissive, ragazzini arroganti che non s’autoregolano. Donne con l’ansia della sindrome dell’impostore, uomini aggressivi che credono d’essere artefici del proprio destino. Si segna, così, il destino femminile: o sono brave mogli e madri oppure brave professioniste, ma con caratteristiche maschili, competitive, determinate, severe.


A cosa dovrebbe mirare il rinnovamento?

A creare in famiglia modelli paritari in cui le persone possono scambiarsi i ruoli e i compiti in base alle proprie esigenze, i propri talenti, le necessità del momento, non in base al genitale che hanno. Ciò permette a un bambino di capire che ciascuno ha un proprio quid da sviluppare, che sia maschio o femmina. Non si sentirà “obbligato” a seguire solo la direzione precostituita del femminile o del maschile. Certo, gli adulti devono fare la loro parte e creare ai figli diverse prospettive di vita, libere dai pregiudizi. Bisogna domandarsi sempre: “quello che fa mia figlia lo fa perché le piace o perché è femmina?”. Risposta: “Non lo so, ma conviene sperimentare l’opposto”. Senza forzature. Inutile pretendere che una bimba faccia un giro nel reparto giocattoli dei maschi se non vuole ma perché non proporlo per vedere che effetto fa?


Come ci si arriva a questa formazione?

Gli adulti dovrebbero imparare ad ascoltare i propri sentimenti e, attraverso questi, cercare di arrivare a quelli dei figli. Faccio un esempio banale: se torno a casa dopo 10 ore di lavoro e mio figlio vuole giocare, ci sono tre possibilità: gli dico di no e basta; gioco anche se sono stravolto; gli spiego che papà è stanco e quella sera ci godiamo tutti un momento di riposo. La scelta vincente è la terza: quando in famiglia si dialoga sulle necessità individuali, che poi sono sempre situazionali e non definitive, si crea empatia. Una connessione emotiva, che facilita la parità, dal momento che i bambini imparano a capire che, di volta in volta, siamo tutti accomunati dagli stessi sentimenti e dagli stessi bisogni. Anche ai genitori piace giocare e anche i bambini possono essere stanchi. Diventa più semplice mettersi nei panni degli altri e imparare a rispettarli, uomini o donne che siano.


La connessione emotiva che risultati dà?

Persone autonome, che si sanno autogestire. Se un ragazzino riconosce ciò che vuole, ciò che gli piace o meno, se ne può prendere cura. Se riconosce ciò di cui ha bisogno l’altro, sarà una persona che riceverà di più in quanto capace di spiegarsi per come è e per cosa prova. A vantaggio delle relazioni: più chiare, dense di scambi e lontane da tentativi di sopraffazione.


La parità è anche rispetto delle regole?

La regola è utile, se rientra nella riflessione del confine che fa sentire al sicuro, piccoli e grandi. Basta non cadere nella rigidità, e rimanere nell’ambito della coerenza. Altro esempio: se i figli devono fare i compiti e arriva una visita, che facciamo? I compiti o li rimandiamo a dopo? Se prevale la prima opzione, inneggiamo al patriarcato: siamo convinti che il bambino va educato con l’ubbidienza. Nel secondo, invece, gli stiamo trasmettendo valori (ospitalità, amicizia) e, insieme, siamo coerenti con il dovere di studiare. Per educarlo a valutare le situazioni caso per caso e trovare le soluzioni migliori. Nel rispetto di se stessi e degli altri. In piena parità.



Come raggiungere l'obiettivo

«Oggi, molti genitori credono di spezzare i vecchi luoghi comuni solo con la presenza assidua e reale», spiega il life coach Girolamo Grammatico. «C’è la convinzione che amando questi bambini, li aiuteremo a crescere bene. No, l’amore è un sentimento, l’amare è una competenza, che s’apprende». Come? Studiando e informandosi, per prima cosa. «È importante avere un minino di cognizione delle fasi evolutive dei bambini, così com’è necessario aggiornarsi sul mondo nel quale si muovono gli adolescenti», dice il coach. Un po’ di “cultura” evita i luoghi comuni, tipo i videogiochi fanno male; le etichette: lui e/o lei a 4 anni sono aggressivi; i giudizi: lei/lui a 13 anni stanno sbagliando tutto. Non possiamo dire a una bambina “realizza i tuoi sogni” quando poi gli adulti non realizzano i loro. «Se noi genitori vogliamo che i figli siano felici organizziamoci per essere felici anche noi, con loro e senza di loro», spiega l’esperto. Viviamo gli errori con naturalità, sia i nostri sia quelli dei ragazzi. «Rendersi conto che la vita è fatta di continui sbagli, promuove l’apprendimento», conclude il coach.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n° 2 di Starbene in edicola e digitale dal 19 gennaio 2021








Leggi anche

Genitori oggi: perché papà e mamma si sentono insicuri

Il segreto delle coppie più felici? Condividere

Impara a interpretare la rabbia di tuo figlio