Come combattere la paura: gli esercizi per superarla

Quando qualcosa o qualcuno ci terrorizza, scatenandoci un’ansia insopportabile, soffriamo di una vera e propria fobia. Ma ci sono esercizi che ci aiutano a superarla, di qualunque tipo essa sia



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La fobia sono due occhi spalancati nel cuore della notte. È il cuore che impazzisce, il corpo che si irrigidisce, la salivazione azzerata e il mondo intorno a te è solo un film dell’orrore proiettato a ciclo continuo su uno schermo sempre acceso. È un’emozione multiforme, che appare sovrastante e insormontabile. E ci impedisce di uscire, di dormire, a volte perfino di mangiare. Giorgio Nardone, psicoterapeuta e direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, autore de Il libro delle fobie e la loro cura (Ponte alle Grazie, 15 €), ci spiega come superarla.


Che differenza c’è tra paura e fobia, professor Nardone?

La paura è la nostra emozione più potente perché legata all’istinto di sopravvivenza: l’unica che ci permette di rispondere a uno stimolo in pochi secondi, per esempio di fronte al pericolo, e che può salvarci la vita. È in grado di inibire il piacere, il dolore e la rabbia, che sono le altre emozioni fondamentali. Può essere un meccanismo emozionale adattivo che ci permette di fare al meglio le cose: la paura ci spinge a studiare per un esame, per esempio. Ma il suo rovescio della medaglia è la fobia: quando la paura va oltre la soglia della funzionalità e diventa disadattiva. È il timore patologico nei confronti di un soggetto, un oggetto, una situazione che ci appare insormontabile. Iniziamo ad evitarli e a rimuginarci sopra, e quel rimuginio si trasforma in una psicotrappola.


Quanto è grave?

Dipende. La fobia può essere lieve, media, severa a seconda di quanto invalida. Si può giungere anche al delirio fobico. È un disturbo trasversale alla nosografia, alla classificazione diagnostica. Può essere lievissima ma può diventare gravissima.


Quali sono i sintomi?

Chi ne soffre diventa ansioso, chiede continuamente rassicurazione e controlla di continuo le proprie reazioni. Direi che la fobia è un atteggiamento ipercontrollante malsano, che scatena proprio ciò che si teme di più: la perdita di controllo. Se per esempio continuo a stare in ascolto del cuore che batte, altero la frequenza cardiaca e poi mi spavento di ciò che sta succedendo. La cosa curiosa è che una fobia può nascere su qualunque cosa. Esistono tante fobie quante se ne possono inventare.


Quali sono le più comuni?

Il terrore di parlare in pubblico è una fobia molto diffusa. Deriva dal senso di inadeguatezza: ci si sente osservati, giudicati, abbiamo paura di non essere all’altezza. A livello fisiologico arriva la tachicardia, una maggior sudorazione, una forte sensazione di caldo, si diventa rossi, si suda. A livello mentale si teme di perdere lucidità e il filo del discorso, di bloccarsi. A quel punto si evita di parlare in pubblico: e più ci sottraiamo a questa situazione, più ne abbiamo paura.


Come si cura?

Io consiglio al paziente di mettere in atto la tecnica antipanico della “peggiore fantasia”. Questa strategia di prima linea per il trattamento dell’ansia e del panico è decisamente efficace (viene citata, oltre che nei manuali, nel dizionario dell’American Psychological Association). È stato sperimentato e dimostrato a livello neuroscientifico che se io invece di reprimere la fobia, la evoco volontariamente, produco un effetto inibitorio della stessa. In pratica spengo il fuoco aggiungendo altra legna.

Nel caso della fobia relativa al parlare in pubblico occorre immaginare di farlo davanti a una platea e di bloccarsi, mentre tutti ridono. È un addestramento: si comincia con mezz’ora al giorno in un luogo sicuro dove inizio a immaginare proprio quella situazione, poi si fa sperimentare al paziente di compiere questo esercizio ogni 3 ore, provando così l’effetto paradosso. Più ho paura più mi ci immergo. In questo modo, la fobia collassa su se stessa. Un trucco è “autodenunciarsi”. Una mia paziente doveva tenere un discorso in un meeting molto affollato e la cosa la terrorizzava. Dopo aver eseguito la tecnica della peggiore fantasia per due settimane, al momento di salire sul palco, appena preso il microfono, ha ammesso di essere molto emozionata e ha chiesto al pubblico di essere paziente. Ha dichiarato il “perturbante segreto” come lo chiamo io e a quel punto ha parlato con disinvoltura e in scioltezza fino alla fine della presentazione.


Questa tecnica funziona su tutte le fobie?

Dipende. A volte per le monofobie vengono messi a punto stratagemmi ad hoc, come per la fobia sociale.


Come si manifesta?

Si tratta della paura estrema del giudizio da parte degli altri. La persona evita il contatto con il mondo esterno perché teme di essere giudicata e di sentirsi rifiutata. L’esercizio consigliato in questo caso è uscire, passeggiare, entrare in un bar o in un negozio e osservare le persone alla ricerca di prove concrete e segnali indiscutibili che gli altri ti stiano evitando, prendendone nota. È un processo diagnostico: si studiano il linguaggio non verbale, le azioni, gli sguardi, i movimenti nei propri confronti. I miei pazienti tornano in studio stupiti del fatto che dando attenzione agli altri, la ricevono. Le persone sorridono, manifestano accoglienza, interagiscono. Qui l’esperienza emozionale correttiva guarisce la fobia.


E la paura contraria, la fobia di perdere qualcuno?

È una delle più comuni ed è emersa prepotentemente con il Covid. È l’ossessione che possa accadere qualcosa a qualcuno che amiamo. Chi ne soffre tende ad avere un’iperprotettiva tensione nei confronti della persona oggetto della fobia: che sia un partner o un figlio per esempio. Vuole continuamente controllare l’altro, diventa opprimente, ossessivo, assillante. Pensiamo alle persone molto gelose, che costringono il partner a non guardare più una donna o un uomo. O gli controllano il cellulare. Dico sempre ai miei pazienti che quando ci si relaziona con l’altro in questo modo, lo stiamo mandando nelle braccia di un amante. Come si cura? Con lo stratagemma della paura più grande che inibisce quella in corso, di cui parlavo prima. Più volte al giorno ci focalizziamo sulla situazione peggiore che riusciamo a immaginare e via via la fobia si stempera.


Molte persone hanno paura degli animali. Si può superare?

Facciamo l’esempio dei piccioni, che è la zoofobia più frequente. Sono animali intelligentissimi che si avvicinano in modo intraprendente agli esseri umani che, spesso, si spaventano sia per lo svolazzare incontrollato sia perché temono il contagio di infezioni (peraltro rarissime). Per curare questa fobia io adotto la strategia: “conosci il tuo nemico”. Consiglio di iniziare a studiarli: guardare le loro foto su Internet è un modo per confrontarsi visivamente con la paura. Poi si osservano i loro comportamenti etologici: i piccioni, per esempio, sono animali monogami e rimangono fedeli per tutta la vita; si inizia così a prendere confidenza. Poi si passa ai video sullo schermo. Vale sempre anche la tecnica della peggiore fantasia, da mettere in atto più volte al giorno. Quindi si inizia a ridurre la distanza di sicurezza: si prova fino a dove ci si può avvicinare senza che arrivi la reazione di panico, ogni giorno un pochino di più, fino a non averne più paura.


Esistono fobie estreme?

Certo. Ho seguito una paziente che aveva paura di uccidere il proprio figlio. Sembrerà strano ma il timore di fare del male a un familiare è uno dei più frequenti attacchi di panico del mondo moderno. Questa pulsione si manifesta con la paura di perdere il controllo della propria mente e, come in un raptus, compiere atti inconsulti e criminali verso chi ci sta vicino, per esempio un figlio o anche un partner. Oggi la comunicazione mediatica martellante su eventi criminali che viene riprodotta sui giornali, sui social, nelle serie televisive, nelle produzioni cinematografiche crea un effetto emulativo che si esprime non solo nell’atto in sé ma anche nella paura che possa succedere. Un esempio su tutti è la copertura mediatica del femminicidio di Giulia Cecchettin: era davvero necessario entrare in tutti quei dettagli? Con questa passione morbosa per la violenza e il crimine stiamo creando un popolo di necrofili. Questo martellamento insinua il dubbio: “Potrei farlo anch’io?”. Quell’ansia diventa paura di poter perdere il controllo, e da lì degenera in fobia. Anche in questo caso la tecnica migliore è quella della peggiore fantasia.

Ovviamente c’è una grande resistenza del paziente a metterla in atto: “Come posso solo immaginare di prendere un coltello e ammazzare mio figlio” mi diceva disperata quella madre. Occorre invece mettersi in quello spazio mentale. In pratica più rifiuto un pensiero, più quello si ripresenta. È il famoso paradosso dell’orso bianco di cui parlava Dostoevskij: se provi a non pensare a un orso bianco stai certo che quell’immagine non si leverà più dalla tua mente. Se utilizzo quel pensiero ossessivo in modo impositivo, cioè mi costringo a pensarci, ecco che l’effetto diventa terapeutico. La paziente, a ogni ora del giorno, per 5 minuti, doveva immaginare di prendere il coltello e uccidere suo figlio. Progressivamente poi si riduce l’esercizio: ogni due ore, ogni tre e via, finché quella fantasia viene svuotata di ogni contenuto emotivo. Ciò che succede è che la mente rifiuta quell’idea e l’esercizio diventa catartico.


La fobia delle rughe inesistenti

Una ragazza che ha il terrore di invecchiare e si vede piena di rughe. È un tipico caso di dismorfofobia: non si accetta il proprio corpo, ci si vede pieni di difetti. È curioso poi che colpisca prevalentemente persone dall’aspetto avvenente, che da un’imperfezione inesistente (le rughe in una persona giovane) costruiscono una gabbia emotiva da cui è difficile uscire. Si corregge un difetto e poi se ne trova subito un altro. È un disturbo ossessivo compulsivo che si basa su una fobia. La prescrizione in questi casi è quello che noi chiamiamo check up estetico. Tutti i giorni, mattino, pomeriggio e sera queste persone devono mettersi davanti a un grande specchio, nudi, osservare il corpo davanti e dietro, e compilare una pagella estetica.

Occorre scrivere tutti i difetti e quale sarebbe il correttivo che si vorrebbe apportare. Questo esercizio reiterato e discusso in terapia fa scoprire che variano da un giorno all’altro e che la valutazione da 0 a 10 di uno stesso difetto cambia in continuazione. Guardandosi allo specchio la percezione diminuisce gradatamente e la fobia si riduce. In un secondo momento si lavora anche su quella degli altri: come vedono quell’imperfezione? Insieme al mio team, diventiamo consulenti di immagine, consigliando alle persone il modo di muoversi e di comunicare la propria personalità. Finché suggerisco al paziente di esporre proprio quel difetto che nel frattempo è scomparso.


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