I NUMERI VERDI DELLE REGIONI ITALIANE PER CHIEDERE INFORMAZIONI
Originario di Udine, dallo scorso settembre Emanuele Gatti è a Shenzhen, nel Guangdong, la seconda provincia in Cina per casi di Covid-19. Si è trasferito in questa metropoli di 20 milioni di abitanti con la moglie imprenditrice e due bambini piccoli. Dottore in psicologia e istruttore certificato di mindfulness, lavora come mental health counsellor con espatriati da tutto il mondo. Ed è ormai un veterano della vita ai tempi del Coronavirus, al quale chiediamo aiuto per affrontare meglio questo periodo di scombussolamento per tutto il mondo.
Perché non siete rientrati in Italia all’inizio dell’emergenza?
Non abbiamo ritenuto fosse necessario. Nel giro di qualche giorno le misure di controllo e prevenzione si sono fatte sempre più stringenti: ordinanze di quarantena, obbligo di indossare le mascherine. Pur nel disagio, ci siamo sentiti rassicurati. Personalmente mi sono anche attivato lanciando diverse iniziative di volontariato per contenere l’ansia e il senso di isolamento, come le pratiche di mindfulness e i gruppi di supporto online.
In base alla sua esperienza, che cosa manda in tilt chi si trova nel bel mezzo dell’epidemia?
La presenza simultanea di incertezza e di rischio. L’incertezza, dovuta alla consapevolezza che il virus potrebbe essere ovunque, amplifica la percezione del rischio. E questo ci rende ipervigilanti e stressati.
Più che “stressati”, però, nel nostro Paese molti sembrano in preda a una psicosi collettiva, tanto da fare incetta di generi alimentari e disinfettanti.
Non parlerei di psicosi: questa implica il delirio, mentre il Covid-19 è reale e va preso seriamente. A mio avviso, la preoccupazione che provano alcune persone è naturale e giustificata: non bisogna deriderla, condannarla, ma accoglierla. A questo proposito, è fondamentale che le istituzioni portino avanti una comunicazione univoca e trasparente, quindi rassicurante, sui provvedimenti in atto. È però comprensibile che in Italia, dove l’e-commerce non è così sviluppato e circolano messaggi contraddittori, qualcuno si prepari allo scenario dell’isolamento, procurandosi generi di prima necessità.
Ma questo “portarsi avanti” ha l’effetto di calmare la mente e le emozioni?
Questo agire impulsivo sembra un tentativo di aggirare il senso di impotenza di fronte al diffondersi dell’epidemia, che in Italia resta ancora contenuto, ma che è amplificato dai media. Se vogliamo dei reali benefici mentali, dobbiamo sia seguire tutte le precauzioni indicate dagli esperti, sia imparare ad accettare di convivere con l’incertezza, così come facciamo per tante altre cose della vita.
E se ci viene detto “Restate tutti in casa”?
Facciamolo. Non si tratta di una limitazione della libertà personale, ma di un atto di salvaguardia di noi stessi e della comunità. Siamo in una situazione transitoria in cui è richiesto uno sforzo di responsabilità individuale e collettiva: dobbiamo accettare dei compromessi. La quarantena è un sacrificio che ripaga: la diffusione del virus verrà limitata, e con essa anche i costi di un’epidemia su più larga scala. Essere consapevoli di questo aiuta poi a contenere la paura.
Però c’è chi anche non ha paura del Coronavirus e continua la vita di sempre.
È facile che sia caduto nella trappola della negazione, il meccanismo di difesa psicologica per cui non si vuole ammettere l’esistenza di una minaccia reale che spaventa. Personalmente, invece di far finta di niente o di riempirmi la testa di informazioni difficili da valutare, ho accettato che la mia nuova normalità comprende un fattore di rischio in più, e che per questo bisogna mettere in atto dei comportamenti preventivi.
Quali altri atteggiamenti positivi suggerisce?
Non stare sempre attaccati ai mezzi di comunicazione, che si tratti di social media pieni di fonti dubbie o complottiste, o di statistiche ufficiali, con cifre che crescono quotidianamente. Se da un lato non dobbiamo negare o minimizzare la situazione, non dovremmo neanche ingigantirla sulla scia del grande spazio che trova sui media. In particolare, a chi si trova nelle zone isolate raccomando di liberare la creatività. Cantare, scrivere, dipingere fa bene a se stessi, per tirare fuori le proprie emozioni. E fa bene anche agli altri che, non solo in Italia, stanno affrontando l’epidemia: produrre disegni, canzoni, video con messaggi di vicinanza, solidarietà, incitamento e diffonderli in Rete aiuta a rendere più leggero il tempo e contrastare paura e rabbia.
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Articolo pubblicato sul n. 12 di Starbene, in edicola dal 3 marzo 2020