Il mondo di Polly, come lei stessa lo definisce, ha tutti i colori dei quadri espressionisti. Ha le tinte cupe della sua infanzia, trascorsa a pane e botte, ricevute proprio da chi dovrebbe amarti e proteggerti: la mamma. E ha il nero profondo della malattia, la sclerosi multipla, con cui combatte giorno dopo giorno. Ma mostra anche i colori infuocati della passione (il grande amore per Davide) e i teneri toni pastello per la sua bimba di 16 mesi che, non a caso, si chiama Sole, un astro luminoso venuto a rischiarare tutti i colori dell’arcobaleno. Georgette Polizzi, fashion stylist e influencer che conta su Instagram oltre 700mila followers, ha una biografia degna di un film. Bella e sensuale, con i suoi contrasti naturali (occhi azzurri su pelle noir, ereditata dal padre originario del Gabon), si racconta con fluidità, sottolineando quando sia difficile a volte cadere e rialzarsi, per ritrovarsi comunque sempre vincente.
Georgette, so che hai avuto un’infanzia travagliata...
Sì, mia mamma soffriva di depressione e disturbo bipolare della personalità, e mi picchiava spesso senza motivo. Mi diceva che mio padre era morto e sono cresciuta da sola con lei, in quella provinciale Vicenza degli anni ’80 in cui non era facile convivere con la pelle nera. I miei compagni di scuola mi tiravano i sassi, mi chiamavano “negra” e “sporca” intimandomi di andarmi a lavare per sciacquare via il colore. Solo da grande ho scoperto che mio padre era vivo. Qualche anno fa mi ha contattato sui social ma in quel momento non potevamo incontrarci per le restrizioni imposte dalla pandemia. Quando poi è arrivato il via libera, lui è morto. Mia mamma, invece, è stata uccisa dal suo compagno quando io avevo 15 anni.
Ho visto la scena del delitto e ricordo come fosse ieri il corpo di mia mamma imbrattato di sangue. La cosa assurda è che il suo assassino circola ancora a piede libero. Con il tempo, ho fatto un lavoro su me stessa e ho perdonato mia mamma per le botte che mi ha dato. Se tornasse in vita, ora l’abbraccerei. In fondo, ha sofferto molto anche lei: non è stato facile crescere da donna bianca una bambina di colore, con zero aiuti. Però non vado al cimitero, preferisco pensarla in cielo. In fondo, la sua è stata una bugia buona: dirmi che mio padre era morto era un modo per tutelarmi dall’angoscia di abbandono. Fa molto meno male sapere che tuo papà non c’è più piuttosto che non ti vuole. Quanto a lui, ci siamo riavvicinati in videocall, stavo imparando ad accettare il suo castello di giustificazioni, ma il covid se l’è portato via prima che potessimo vederci dal vivo.
E poi, cosa è sucesso?
A 15 anni, quando mia madre è stata ammazzata, ero troppo grande per essere adottata e troppo piccola per vivere da sola. Così sono stata data in affido a una casa-famiglia che mi ha circondato di quell’affetto che non avevo mai avuto. Per la prima volta ho provato il calore di avere una “casa”, un porto sicuro dal quale partire e ritornare. Ci sono rimasta fino a 18 anni. Poi ho sentito che dovevo abbandonare il nido e cercare la mia strada. Sento ancora i miei affidatari verso i quali nutro un profondo senso di gratitudine perché mi hanno ridato fiducia e speranza.
Come sei diventata una stilista affermata?
Dentro di me sentivo una vena artistica, il bisogno urgente di esprimermi in qualcosa di visibile a tutti. Per anni sono stata cofounder di alcuni marchi. Poi, nel 2011, ho creato una mia linea che ha avuto successo, soprattutto per le magliette “sporche” di vino, di caffé, di bruciature di sigarette e di altre macchie create ad arte. Ma ciò che mi ha aperto le porte dei grandi store è stata l’idea di dissacrare il capo di lusso per eccellenza: lo smoking. L’ho strappato, tagliuzzato, sporcato di segni e bruciature per dimostrare che i miti non sono intangibili. Per questo l’ho chiamato Clochard. Dal 2017 ho creato il brand Georgettepol: dipingo a mano tutti i capi che compongono le linee casual, come t-shirt, jeans, gonne, completi e blazer. C’è anche la linea Georgettepol Customer, con abiti disegnati su richiesta del cliente: c’è chi mi chiede di dipingere una torta di compleanno, chi di riprodurre la foto del figlio o del cane. La tecnica di pittura? Top secret.
Nel 2016 hai partecipato a Temptation Island. Com’è andata?
Bene, anche se trascorrere 21 giorni su un’isola deserta è più duro di quello che sembra. Io stavo già con Davide Tresse, che è poi diventato mio marito. Entrambi abbiamo accettato la sfida per gioco, subendo le advances di “tentatori” e “tentatrici” a cui non è facile resistere perché sull’isola si crea per forza una certa intimità. La prova più dura è stata quando siamo rientrati a casa, e abbiamo visto i video delle tentazioni: lui che si confida e accarezza i capelli di una partecipante, io che rido con il tentatore di turno. Però abbiamo resistito, e il nostro rapporto ne è uscito rafforzato.
Ma poi è arrivata la malattia...
Sì. Io sono sempre stata una supersportiva e praticavo crossfit tre volte alla settimana. Un giorno, di ritorno dall’allenamento, mi sono accorta che il mio busto aveva perso la sensibilità. Nel giro di un’ora mi sono trovata paralizzata dal collo in giù, in balìa di una sedia a rotelle. Ma nemmeno la diagnosi di sclerosi multipla è riuscita ad abbattermi. I medici mi avevano detto che sarei rimasta paralizzata a lungo, forse per sempre. Ma io mi sono impegnata con tutte le forze, facendo gli esercizi ogni giorno, per riuscire a rimettermi in piedi. Dopo soli due mesi mi sono alzata dalla sedia a rotelle e ho pubblicato il video “i miei primi cinque passi” in cui re-imparo a camminare, appoggiandomi alle braccia di Davide. Le infermiere, non credendo al miracolo, mi hanno ribattezzata “leonessa cazzuta”. Da allora prendo farmaci tutti i giorni per tenere sotto controllo la malattia, che ti toglie delle parti di te e non te le restituisce più. Attualmente cammino bene ma ho perso la sensibilità delle mani: non sento il pizzetto di Davide né le guance paffutelle di Sole.
A proposito di Sole. Hai fatto fatica a diventare mamma?
Sì, ma volevo a tutti i costi un bambino, nonostante i medici mi sconsigliassero di avviare una gravidanza con la sclerosi multipla. La mia terapia era incompatibile con la ricerca di un bimbo, così ho scelto di sospenderla a mio rischio e pericolo. Per un anno non ho preso niente, mentre il secondo ho iniziato una nuova cura più compatibile con la gravidanza ma che mi dava un mare di effetti collaterali: nausea, vomito, mal di testa e febbre. E mentre facevo sette iniezioni al giorno per la sclerosi, ho iniziato il percorso di PMA (Procreazione Medicalmante Assistita), obbligatoria per me perché mi hanno rimosso le tube in seguito a un’infezione (sì, non mi sono fatta mancare nulla!). Così, oltre alla mia terapia, ho dovuto assumere il “cocktail” per la stimolazione ormonale. Non vi dico come stavo, uno straccio... Il primo tentativo di PMA è andato male ma io e Davide non ci siamo dati per vinti. Di nuovo incinta, sono riuscita a portare a termine la gravidanza e il 21 marzo del 2022 è nata Sole, il più bel regalo della mia vita.
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