Meticolosi, ordinati, in ansia per cosa pensa il collega o l’amica di noi, maniacali nel lavoro e pignoli a casa, con il partner e i figli. Lo smartphone in mano per controllare che il trucco e i capelli siano ineccepibili. La sete di perfezionismo ci sta rovinando la vita.
Thomas Curran, docente della York St John University, in uno studio condotto fra il 1980 e il 2016 su quasi 42mila studenti ha bollato il perfezionismo come l’epidemia del secolo. Siamo sommersi da un’ondata crescente di immotivata pignoleria, dal 1990 a oggi, pure secondo un recente report guidato dalla Saint John University di York, nel Regno Unito, e dalla Dalhousie University, in Canada, pubblicato su Personality and Social Psychology Review. La lista dei perfettini si allunga sempre di più fino a sfiorare il 3-5% della popolazione mondiale, stando anche alle stime di un recente studio pubblicato sul Psychological Bulletin. Una tendenza in progressivo aumento, a tutte le età e a tutti i livelli, ma soprattutto tra i giovani.
I più colpiti? I millennials
«È una fastidiosa nevrosi che ci allontana dalla realtà, per avvicinarci all’illusione dell’impeccabile e dell’ammirazione assoluta», spiega Annalisa Barbier, psicologa cognitivo comportamentale e dottore di ricerca in neuropsicologia.
Siamo diventati perfezionisti per colpa di un vivere sempre più competitivo, dove la provenienza sociale e le prestazioni contano troppo e la vincita e l’interesse personale sono enfatizzati. I più colpiti, secondo gli studi, sono i millennials, circondati da troppi parametri su cui misurare successo o fallimento, ma anche noi adulti, costantemente alle prese con il giudizio. «Viviamo come in perenne tensione, che di per sé è costruttiva, ma diviene patologica perché esasperata e amplificata da una società che ci vuole efficienti, prestanti, competitivi in modo indiscriminato. Così, ci ritroviamo a vivere perennemente sotto il giudizio degli altri», spiega la psicologa.
Il piacere è esterno a noi
«Vediamo sempre più “bianco o nero” o “tutto o nulla”, ci focalizziamo sugli errori dimenticando i successi e le abilità», continua l’esperta. Costretti a esporci pubblicamente in ogni ambito, indotti a scattarci foto da pubblicare sui social, il perfezionismo diventa allora il guardiano dell’immagine, della bontà della prestazione fornita. Della serie: “se sono perfetto valgo e mi apprezzeranno”, in caso contrario “non valgo nulla, o quasi”. Occhio però, perché a furia di raggiungere l’irraggiungibile i primi a farne le spese siamo noi. «Il perfezionismo sposta il fuoco dell’attenzione dal piacere sentito attraverso la gratificazione di ciò che si fa, così come lo si sa fare, al piacere derivante dallo sguardo ammirato dell’altro, sia esso il capo o i colleghi, o una collettività virtuale, fino a perdere la capacità di considerare e accettare il limite della propria fallibilità», precisa Barbier.
Ci si confronta con un’illusione
Pensateci bene: chi o cosa definisce una nostra prestazione “perfetta”? Di solito la risposta viene cercata in parametri dettati dall’esterno e distoglie il sentimento di gratificazione legato al godimento di fare o di essere», continua l’esperta. Ma, soprattutto, «Si entra in un circolo vizioso in cui la frustrazione alimenta l’aspettativa di perfezione in una escalation destinata a non trovare soluzione».
Vale anche nella relazione con il partner: essere perfezionisti e intransigenti nella coppia può portare alla crisi. «L’atteggiamento ipercritico e giudicante, così frequente nei narcisisti, se all’inizio può spingere il partner a migliorarsi, nel lungo periodo allontana, perché la rigidità non lascia spazio per accogliere l’altro così com’è».
E dovremmo smetterla, anche, di confrontarci continuamente con gli altri, soprattutto attraverso i social, suggerisce la psicologa. «Fare paragoni e far parte di paragoni è uno dei grandi mali del nostro tempo. Il termine di confronto non è più il compagno di scuola, i colleghi, gli amici, ma è rappresentato da una moltitudine indistinta di persone che è “là fuori” a giudicarmi e che, soprattutto, può mostrarsi perfetta grazie alle app che permettono di esporre solo il bello, il meglio». Insomma, tanto vale mettere un freno alla spasmodica ricerca di rigore di fronte a una realtà modificata, migliorata, come accade nelle fotografie ritoccate di Instagram: perfette ma non realistiche. «Se mi confronto con l’immagine e non con la realtà, il mio destino è l’amarezza del fallimento e il sentimento di inadeguatezza che ne deriva», assicura Barbier.
Troppo tempo perso
Scacciare l’epidemia perfezionista è possibile: accettando di non essere impeccabili e, qualche volta, pigri. «Entrare nella modalità dell’essere invece che del fare è un’ottima soluzione. Liberarsi dalle paure del giudizio altrui, i diktat che ci vogliono performanti è la strada per sciogliere l’abitudine, nevrotica e limitante, al perfezionismo». Come? «Iniziando a pensare che il perfezionismo non è garanzia di prestazioni eccellenti, ma un disagio che vi fa perdere tempo: nella ricerca di qualcosa di meglio i giorni passano, procrastinate e la sensazione di benessere non arriva. Tanto vale godersi la bellezza dell’imperfetto», conclude Barbier.
TRE ESERCIZI PER IMPARARE A ESSERE IDULGENTI CON SE STESSI
1 Perdi, di proposito, il controllo Rinuncia alle abitudini che rinforzano il perfezionismo: lascia oggetti fuori posto, smettila di creare liste su ciò che dovi fare, prepara la cena all’ultimo. Ti sentirai in ansia. Ma è il primo passo per lasciare alle spalle il perfezionismo.
2 Fai cose che non sai fare Cimentati in attività inusuali, per capire che sbagliare è umano e per far calare l’ansia da prestazione. Lo suggerisce anche la psicologa Lucia Camporese nel libro Vincere il perfezionismo (Positive Presse, 18 €). Qualche esempio: prepara una torta anche se non è il tuo forte, dipingi, anche se sarà un insuccesso. È il miglior modo per imparare a dire “chisseneimporta”.
3 Rimanda le cose non urgenti Sforzati di mettere da parte la logica del fare tutto subito: non è pigrizia ma vivere con relax. Non rispondere subito ai messaggi WhatsApp e alle mail. Lascia passare prima 15 minuti, poi 30, poi un’ora.
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