C’è un film del 2018, intitolato “Sconnessi”, che racconta di una famiglia moderna riunita in uno chalet di montagna, dove il gruppo rimane improvvisamente senza connessione a Internet e cade nel panico. Questa pellicola, diretta da Christian Marazziti, fotografa i terribili risultati della dipendenza da smartphone, tablet e social, che può sfociare in quello che oggi viene denominato Fomo (acronimo dell’espressione inglese “fear of missing out”, letteralmente “paura di essere tagliati fuori”).
«La fear of missing out non rientra in alcuna categoria diagnostica né rappresenta un disturbo riconosciuto a livello psichiatrico», tiene a precisare il dottor Mario Miniati, psichiatra e psicoterapeuta presso il Centro Medico Visconti di Modrone, Milano. «Piuttosto, si tratta di una nuova forma di comportamento sociale che si traduce nel timore di restare al di fuori di un certo contesto, di non essere connessi con gli altri in tempo reale e di essere privati di qualcosa se non si manifesta assiduamente la propria presenza tramite i social network».
Che cos’è la Fomo
La “paura di essere tagliati fuori” è il riflesso del nostro secolo, ossessionato dalle comunicazioni: chi ne soffre posta qualcosa su Facebook e si aspetta subito commenti o condivisioni, controlla costantemente notifiche e mail, va a curiosare di continuo sulle bacheche social degli amici, fa parte di diversi gruppi su WhatApp, si innervosisce davanti alla storia Instagram di un amico che è andato a un certo evento, navigando su Linkedin teme che le altre persone stiano facendo un lavoro più ricco e gratificante del proprio.
«Alla lunga, i soggetti “fomici” iniziano a riposare male di notte, perché continuano a restare connessi, e questo finisce per impattare sulla qualità di vita generale, determinando problemi di concentrazione durante il giorno», spiega il dottor Miniati.
L’acronimo, Fomo, è stato coniato nel 2004 dall’autore americano Patrick J. McGinnis, ma sembra che la paura di essere tagliati fuori dai “giri giusti” accomuni gli uomini dalla notte dei tempi. Si racconta che addirittura Cicerone ne soffrisse, al punto da voler ricevere dettagliati resoconti di ogni evento che accadeva nella capitale quando si allontanava da Roma.
Chi soffre di Fomo
Tra i soggetti più colpiti dalla Fomo ci sono gli adolescenti, nati e cresciuti con i social, su cui diventano perenni spettatori di una miriade di opzioni che non possono coprire per intero, finendo talvolta per sviluppare la percezione che gli altri stiano vivendo esperienze migliori delle proprie.
La sensazione di vivere un’esistenza poco interessante può colpire soprattutto le persone con scarsa autostima e che si sentono sole, ma non esistono regole fisse. «Ovviamente, perché si possa parlare di Fomo conta il tempo passato con questo pensiero “fisso”: un discorso è sbirciare sui social per qualche minuto al giorno, un altro paio di maniche è trascorrerci ore, trascurando studio o lavoro. E poi conta anche quello che ne deriva in termini di sensazioni: quanto ci sentiamo frustrati, tristi, arrabbiati», racconta il dottor Miniati.
«A tal proposito, potrebbe essere interessante valutare la socialità del soggetto nel suo complesso. È quello che accade nella psicoterapia interpersonale, una forma di terapia breve che indaga quali sono le proprie aspettative nei confronti del prossimo, stabilendo se queste aspettative sono più o meno realistiche. Partendo dall’assunto che è impossibile trovarsi sempre al centro di tutte le reti sociali, è importante rafforzare i comportamenti che contrastano questa aspirazione».
Il legame con i lockdown
Alcuni esperti ipotizzano che la Fomo sia stata stimolata o esacerbata dai lockdown imposti dalla pandemia, che in molti ragazzi possono aver contribuito a favorire la comparsa di una fenomenica dello spettro ossessivo: non un vero e proprio disturbo ossessivo-compulsivo, dunque, ma forme attenuate che si manifestano proprio con questa mania del controllo sui device elettronici, sulla connessione costante, sul numero dei contatti.
«In sostanza, i lockdown hanno alterato per un po’ i nostri ritmi crono-biologici, ovvero quell’insieme di impegni che scandiscono normalmente le nostre giornate, e senza questi “contapassi” di natura psicosociale si è snaturato il funzionamento di alcune aree cerebrali, tra cui i circuiti che prevedono anche questi comportamenti più ossessivi. Ricapitolando, l’aver visto saltare la solita routine, i punti di ancoraggio e lo scambio con i pari ha evidenziato le “manie” in molti soggetti».
Come si combatte e cosa fare
Ma allora come accorgerci se un nostro amico o famigliare soffre di Fomo? E come capire se ne siamo affetti proprio noi? «I due elementi distintivi più importanti sono la quantità di tempo speso in rete, sottratto alle altre attività produttive, e i cambiamenti nel tono dell’umore, che apparentemente presenta delle oscillazioni in base alle delusioni raccolte durante la navigazione, come i mancati feedback o un basso numero di “mi piace” ai propri post», racconta Miniati.
«Se poi questa ossessione si allarga anche ad altri campi della vita, il problema potrebbe essere più complesso e nascondere un disturbo ossessivo-compulsivo». La via d’uscita alla Fomo sta in un altro acronimo, ovvero Jomo, che sta per “joy of missing out” (gioia di perdersi qualcosa): lo ha coniato il medico tedesco Eckart Axel von Hirschhausen, semplificando la necessità di apprendere l’arte del lasciare andare, del non essere sempre connessi e sincronizzati con il resto del mondo. «Non lasciar correre nulla, al contrario, si traduce in una iper-stimolazione di alcune aree cerebrali, che svolgono un ruolo fondamentale nei processi cognitivi e nella regolazione del comportamento. Se proprio non ci riusciamo, pur riempiendo la nostra vita di altri stimoli positivi, possiamo chiedere aiuto a un professionista per trovare la giusta soluzione», conclude il dottor Miniati.
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