Sulle colline dell’alta Irpinia alcuni agricoltori locali hanno aderito al progetto “Grano Risciola”, lanciato da un’azienda italiana che produce farine speciali. L’obiettivo? Coltivare con le tecniche di una volta e senza fertilizzanti chimici le sementi di Risciola, un grano dimenticato ormai da decenni.
E non si tratta di un caso isolato: dal Senatore Cappelli al Saragolla, dal Monococco al Gentil Rosso, dal Tumminia al Verna nel nostro Paese si sta tornando a seminare tanti chicchi antichi e di nicchia.
Sono speciali anche dal punto di vista nutrizionale o si tratta solo di una moda? Facciamo chiarezza con il dottor Giorgio Donegani, tecnologo alimentare a Milano.
Si coltivano con meno pesticidi
«Per grani antichi si intendono quelle varietà coltivate prima che si intensificasse il ricorso a mutazioni genetiche per ottenere piante dalle spighe con una resa maggiore. Un processo che è avvenuto più o meno dalla metà del secolo scorso. Nella maggior parte dei casi i grani antichi sono piante ad alto fusto: l’altezza le rende meno vulnerabili all’attacco di infestanti; anche per questo molti produttori scelgono di non usare fitofarmaci e questo è già un vantaggio. Inoltre questi cereali, se vengono macinati a pietra nel modo tradizionale, danno origine a farine poco setacciate, con una maggiore quantità di fibre, acidi grassi, vitamine e minerali e con un indice glicemico più basso rispetto alla comune 00», chiarisce l’esperto.
In questo caso, dunque, anche se costano di più, vale davvero la pena acquistarli.
Contengono un glutine “migliore”
Alcuni grani antichi contengono meno glutine: alcune varietà, come la Risciola, ne possiedono circa il 7-9% rispetto all’11-17% del grano moderno ma non è una regola. Piuttosto, è la qualità del glutine a fare la differenza: «Generalmente i chicchi di una volta hanno minori quantità di uno specifico peptide tossico. Tuttavia è bene chiarire che sono comunque controindicati per i celiaci», dice Donegani.
Tutelano la biodiversità
La riscoperta di questi chicchi è merito prevalentemente di piccole aziende agricole che con coraggio affrontano la concorrenza dei colossi dell’alimentazione: «Acquistarli vuol dire contribuire alla loro sopravvivenza, tutelare la biodiversità del territorio e recuperare i sapori della tradizione. Garantirsi un prodotto a filiera corta, infine, consente anche vantaggi sul piano della sostenibilità», conclude il tecnologo.
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Articolo pubblicato sul n. 17 di Starbene in edicola dal 10/04/2018