di Valeria Ghitti
Articolo pubblicato sul n. 16 di Starbene in edicola dal 4/4/2017
di Valeria Ghitti
L'intolleranza al lattosio è l’incapacità da parte dell’intestino di assorbire lo zucchero contenuto nel latte e in gran parte dei suoi derivati, con la conseguente comparsa di fastidiosi sintomi gastrointestinali.
È un problema di cui si parla ormai molto. Ma non sempre correttamente: per fare chiarezza abbiamo intervistato il dottor Edoardo Savarino, gastroenterologo e ricercatore dell’Università degli Studi di Padova.
DA COSA DIPENDE QUESTO PROBLEMA?
«Alla base dell’intolleranza al lattosio c’è una ipolattasia, cioè la carenza dell’enzima lattasi, presente normalmente sulla superficie dei vill intestinali, che serve per dividere il lattosio nei due zuccheri che lo compongono: il glucosio e il galattosio, più facili da assorbire.
L’ipolattasia è nella maggior parte dei casi genetica (primaria), ma può anche dipendere (secondaria) da gastroenteriti acute, da malattie infiammatorie intestinali croniche o dalla celiachia, che possono danneggiare la mucosa intestinale.
Quando la lattasi scarseggia in quantità e/o in qualità, il lattosio non viene ben assorbito e arriva integro alla parte terminale dell’intestino tenue e nel colon, dove può richiamare liquidi o essere fermentato dalla flora batterica, con la conseguente formazione di gas e altre sostanze che possono scatenare indesiderati sintomi gastrointestinali».
QUANTO È DIFFUSA QUESTA INTOLLERANZA?
«È un problema piuttosto frequente, se consideriamo che circa il 50-60% della popolazione italiana fa i conti con un’ipolattasia primaria ed è quindi predisposto a sviluppare l’intolleranza.
Ma non abbiamo dati precisi sul numero di persone che ne soffrono, perché avere una carenza di lattasi non significa automaticamente e immediatamente sviluppare i sintomi, e solo un terzo di coloro che li manifestano si sottopone poi a un esame diagnostico».
PUÒ COMPARIRE A QUALSIASI ETÀ?
«Sostanzialmente sì. Raramente però si manifesta alla nascita, mentre più spesso compare in età scolare-adolescenziale o in età adulta, quando avviene il calo naturale cui l’enzima va incontro negli anni e che comincia già dopo lo svezzamento.
L’eventuale comparsa dell’intolleranza, comunque, dipende anche dal grado di attività dell’enzima residuo, da quanto lattosio si è abituati a ingerire e dall’equilibrio della propria flora intestinale. Per questo può manifestarsi in qualsiasi momento della vita oppure non farlo affatto nonostante il deficit enzimatico».
QUALI DISTURBI CREA A BREVE E LUNGO TERMINE?
«Nell’immediato, dalla mezz’ora alle due ore dopo l’ingestione di lattosio, l’intolleranza scatena sintomi gastrointestinali come gonfiore, dolori addominali, meteorismo, flatulenza e diarrea.
Con il tempo, episodi diarroici ripetuti e prolungati possono favorire problemi di assorbimento dei nutrienti e quindi carenze. Possiamo considerare un problema a lungo termine anche la carenza di calcio che può verificarsi in chi, intollerante o convinto di esserlo, esclude autonomamente dalla propria dieta qualsiasi latticino e derivati, senza bilanciare con altre fonti nutrizionali del minerale».
MA INTOLLERANZA E ALLERGIA AL LATTE SONO DA CONSIDERARE LA STESSA COSA?
«Assolutamente no. L’allergia dipende da una reazione anomala del sistema immunitario nei confronti delle proteine del latte e non verso lo zucchero.
La reazione allergica può essere scatenata anche da piccole quantità (nei casi più seri anche per inalazione) e non dà solo disturbi intestinali: pochi minuti dopo l’ingestione possono comparire anche gonfiore alla bocca e alla gola, orticaria diffusa, difficoltà respiratorie e - nei casi più seri - shock anafilattico».
SERVE FARE IN TEST PER DIAGNOSTICARE L'INTOLLERANZA AL LATTOSIO?
«Sì, perché i sintomi da soli non bastano, essendo aspecifici e per questo attribuibili anche ad altri problemi gastrointestinali. Anzi, per una corretta e completa diagnosi è consigliabile abbinare due esami.
Il primo, più diffuso e comune, è il test del respiro (“breath test”), che individua la presenza di un cattivo assorbimento del lattosio e la sua entità, analizzando nell’aria espirata dopo aver bevuto 25-50 grammi di lattosio la presenza di idrogeno, prodotto dalla fermentazione intestinale dello zucchero non assorbito.
Il secondo è invece un test genetico che viene eseguito su un campione di saliva e che permette di individuare la causa del cattivo assorbimento, perché identifica un’ipolattasia primaria.
Se quest’ultimo ha esito negativo ma il test del respiro è positivo, il medico ipotizzerà un’ipolattasia secondaria e quindi sottoporrà il paziente a ulteriori esami per individuare la presenza di una possibile malattia intestinale all’origine del problema».
SI PUÒ GUARIRE DA QUESTO DISTURBO?
«Se l’intolleranza dipende da un’ipolattasia conseguente a una malattia intestinale acuta e transitoria (come una gastroenterite), risolta questa e ristabilita l’integrità intestinale, ci si può considerare guariti.
Negli altri casi, e in presenza di un’ipolattasia primaria, non si può invece ripristinare una quantità/qualità di lattasi che permetta di consumare lattosio senza alcun problema.
In ogni caso, con la giusta strategia, si può ottenere una remissione dei sintomi: in genere bisogna seguire una dieta priva di lattosio per 3-4 mesi (vedi qui), quindi - eccezion fatta per i casi più gravi - reintrodurlo gradualmente fino a una dose-soglia, cioè una quantità che riesci a consumare senza avere disturbi.
Ciascuno ha una sua quantità-limite, ma la maggior parte degli intolleranti non ha problemi a ingerirne fino a 12,5 g al giorno, specie se frazionati nell’arco della giornata. Con il medico si può poi anche cercare di aumentare gradualmente la dose-soglia».
SI PUÒ CONTRASTARE L'INTOLLERANZA RICORRENDO A SPECIFICI INTEGRATORI
«Da qualche anno sono disponibili in farmacia compresse o capsule che contengono l’enzima lattasi, estratto da lieviti o muffe. In genere ne basta una, presa circa venti minuti prima di consumare cibi contenenti lattosio, perché l’enzima introdotto ti assicuri la digestione dello zucchero, evitando o riducendo di molto la comparsa dei sintomi.
Questi integratori non curano l’intolleranza, ma possono aiutare a mantenere una dieta bilanciata, senza rinunciare a un’intera categoria alimentare. O possono essere utili anche solo quando si mangia fuori casa ed è più difficile controllare la presenza di lattosio nei piatti.
Non ci sono poi controindicazioni al loro utilizzo, tanto che sono indicati anche per i bambini, malgrado sia sempre meglio sceglierli dietro specifica indicazione medica. Non hanno neppure particolari effetti collaterali: la lattasi ingerita non entra infatti nel circolo sanguigno e perdura nell’intestino per poco tempo, venend quindi rapidamente eliminata per via fecale. Motivo per cui va riassunta a ogni pasto».
SUL MERCATO CI SONO SEMPRE PIÙ PRODOTTI CON LA DICITURA "SENZA LATTOSIO", A PARTIRE DAL LATTE CHE ORA SI TROVA ANCHE IN TANTI BAR. SONO SOLUZIONI VALIDE?
«Per i pazienti che denunciano un’intolleranza lieve o moderata, il consumo di alimenti (latte incluso) privati del lattosio può rappresentare una buona soluzione, poiché riducono il rischio di sviluppare carenze nutrizionali importanti.
Nelle forme di intolleranza severa o grave, che sono peraltro una minoranza, non ci sono però sufficienti evidenze scientifiche che supportino l’adozione di una dieta con alimenti delattosati, i quali contengono comunque minime quantità di lattosio: in questi casi, quindi, può essere più prudente evitarne in ogni caso il consumo. Fatta questa raccomandazione, in termini assoluti il giudizio è comunque positivo».
Articolo pubblicato sul n. 16 di Starbene in edicola dal 4/4/2017
Le risposte dei nostri esperti
Cara lettrice/caro lettore, le consiglio di rivolgersi ad un medico specialista in scienza dell'alimentazione o ad un servizio di dietetica di un ospedale della sua zona. In questo modo, dopo un'adeg...
Cerca tra le domande già inviate