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Blefarite: cos’è, quali sono le cause e come si cura

È un’infiammazione molto comune delle palpebre: se non viene curata, la blefarite può causare perdita delle ciglia e secchezza oculare. Leggi qui

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La blefarite è un’infiammazione piuttosto comune, che può manifestarsi a qualsiasi età, anche più volte, interessando un solo occhio oppure entrambi. La blefarite colpisce il bordo palpebrale, alla base delle ciglia, dove sono situate delle piccole ghiandole (dette di Meibomio) che producono la parte oleosa del film lacrimale: «Se per vari motivi queste goccioline di sebo diventano più consistenti, solide e burrose, si crea un “ingorgo” delle ghiandole di Meibomio», spiega il professor Paolo Nucci, ordinario di Oftalmologia presso l’Università Statale di Milano. «Questa condizione, definita appunto blefarite, può portare alla perdita delle ciglia, ma anche a una peggiore qualità del film lacrimale. Quest’ultimo, infatti, è costituito da tre strati: lipidico, quello più esterno che evita alle lacrime di evaporare; acquoso, quello intermedio che trasferisce ossigeno alla cornea; mucoso, quello più interno che serve a distribuire questo film sull’occhio in maniera omogenea».


Cos’è la blefarite

Quando la composizione del film lacrimale si altera, viene a determinarsi una condizione nota come dislacrimia, cioè una cattiva qualità delle lacrime: «Nel caso della blefarite, è la parte lipidica a difettare, per cui le lacrime evaporano più facilmente e possono aprire la strada all’occhio secco», avverte l’esperto. «Questa infiammazione può essere diagnosticata da un oculista esperto attraverso una normale visita con la lampada a fessura, che consente un’attenta ispezione del bulbo oculare, anche se oggi esistono altri esami come la meibomiografia, che consente proprio di valutare lo stato delle ghiandole di Meibomio grazie a una particolare illuminazione».


Come capire se si ha la blefarite

L’ingorgo delle ghiandole di Meibomio può manifestarsi con la formazione tra le ciglia di croste, simili a forfora, che possono assumere la forma di un collare (per questo detto collaretto), oppure con un gonfiore presente sulla parte interna della palpebra (noto come calazio), dovuto a una sorta di “tappo” che occlude lo sbocco della ghiandola. Gli altri sintomi tipici sono prurito e bruciore, sensazione di corpo estraneo, arrossamento oculare e sensibilità alla luce. «Di fronte a questi disagi, è opportuno sottoporsi quanto prima a una visita oculistica non solo per ridurre il fastidio, ma anche per ridurre la possibilità di far cronicizzare il disturbo», raccomanda il professor Nucci.


Da cosa è provocata

Alla base della blefarite possono esserci diverse cause, che comprendono infezioni batteriche (tipicamente da stafilococco), ma anche motivi ormonali e costituzionali, perché alcuni soggetti sono più predisposti di altri a manifestarla. «Sembra che addirittura l’alimentazione possa incidere», avverte l’esperto. «Se troppo lipidica, può rendere di cattiva qualità anche la componente grassa che viene prodotta a livello oculare».


Come si cura la blefarite

Per trattare la blefarite, è necessario innanzitutto decongestionare le ghiandole di Meibomio: «Questo si ottiene facendo degli impacchi caldi: basta inumidire delle garze pulite e applicarle sulle palpebre per 1-2 minuti, eseguendo un leggero massaggio per favorire la fuoriuscita delle secrezioni lipidiche dai dotti», suggerisce il professor Nucci.

«Contemporaneamente, vanno assunti dei farmaci, le tetracicline, che nei bambini possono essere somministrati sotto forma di colliri, mentre negli adulti vengono di norma prescritti per uso sistemico in una posologia low-dose long course, cioè un basso dosaggio per un lungo periodo, pari almeno a due o tre mesi». Ma i tempi di trattamento possono allungarsi in base a una regola empirica, per cui la cura deve seguire la durata del problema: per esempio, se la blefarite persiste da un anno, anche la terapia dovrà coprire il medesimo arco temporale di dodici mesi.


Quali sono i rimedi naturali

Spesso, in commercio, si trovano integratori o colliri formulati con ingredienti vegetali, come camomilla, eufrasia, amamelide, aloe vera, malva o rosa canina: «Non esistono prove scientifiche sulla loro reale efficacia», tiene a precisare il professor Nucci. «L’occhio non ha recettori noti per il materiale proveniente da fiori o piante, per cui l’unico rimedio naturale davvero efficace è un impacco caldo. Tra l’altro, non è necessario far bollire l’acqua: è sufficiente usare quella del rubinetto».


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