Il pesce sarà sempre più di allevamento: ma è sicuro?

I nostri esperti rassicurano sulla bontà del pesce allevato, che sarà sempre più frequente sulle nostre tavole. La maggiore attenzione al benessere animale garantisce prodotti di qualità superiore e riduce l’impatto ambientale: anche in Italia si va diffondendo l’acquacoltura bio



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Entro il 2030, il 57% del pesce che metteremo in tavola sarà allevato e non pescato. Lo dicono le ultime proiezioni elaborate dall’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dalla FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Del resto il sorpasso dell’acquacoltura sulla pesca è già in atto, spinto dal progressivo impoverimento di mari e fiumi e dall’insaziabile richiesta del mercato globale.

È dunque logico aspettarsi che all’aumento dei pesci allevati in vasche e gabbie corrisponda un uso più esteso di farmaci per combattere le loro malattie: una questione rilevante per la salute dell’ambiente e, indirettamente, anche per la nostra. Nessun allarmismo, sia chiaro.


L’uso di farmaci in Europa è sotto controllo veterinario

Va infatti detto che l’impiego di farmaci in acquacoltura è inferiore a quello degli allevamenti di polli, bovini, suini e che qualsiasi sostanza può essere somministrata agli animali solo ed esclusivamente sotto controllo veterinario, per lo meno in Europa.

A ulteriore tutela del consumatore, poi, i prodotti sul mercato italiano vengono sottoposti a scrupolosi controlli per verificare la salubrità del cibo che finisce nel nostro piatto. Ma d’altra parte, non sono ancora chiari gli effetti che i farmaci veterinari usati in acquacoltura possono avere sull’ecosistema.


I medicinali, però, inquinano le acque

Secondo un recente studio pubblicato su Environmental Sciences Europe da un team di esperti selezionato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema), una quantità pari fino a tre quarti della dose di farmaco somministrata può finire dispersa nell’ambiente, rappresentando una minaccia per la flora e la fauna selvatiche che vivono in prossimità degli impianti.

«Non sappiamo ancora quali effetti ne possano derivare, perché i farmaci approvati specificatamente per l’acquacoltura si contano sulle dita di una mano e spesso si sopperisce con medicinali indicati per l’uso negli animali terrestri di cui non è stato valutato l’impatto sull’ecosistema acquatico», afferma Sara Villa, professoressa di ecotossicologia all’Università di Milano-Bicocca e unica rappresentante italiana nel Gruppo di lavoro dell’Ema.

«La fauna selvatica, che include anche le specie destinate al consumo umano come pesci e crostacei, può essere influenzata negativamente dalle acque reflue che contengono residui farmaceutici: è possibile che si sviluppino anche fenomeni di antibiotico-resistenza. Infine, un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo ai fanghi di scarto degli impianti di acquacoltura, per i quali è prevista la possibilità di impiego sui terreni agricoli».


Occorre avere cura del benessere animale

Le incognite sono molte e dunque, per un principio di precauzione, le nuove linee guida europee raccomandano di ridurre l’uso di farmaci. Come? «Investendo sulle buone pratiche che migliorano il benessere animale», spiega Fabrizio Capoccioni, biologo del Centro di Zootecnia e Agricoltura del CREA, il più importante ente italiano di ricerca agroalimentare. «Perseguire il benessere animale vuol dire innanzitutto migliorare le condizioni di allevamento con vasche e gabbie più spaziose, posizionate in acque più pulite e ossigenate, magari realizzate usando materiali innovativi».

Con il progetto P.E.R.i.L.Bio, ad esempio, il CREA ha sperimentato nell’isola di Capraia (Toscana) un impianto di acquacoltura con reti in lega di rame, un materiale dotato di attività antibatterica che riduce la colonizzazione di organismi incrostanti facilitando così le operazioni di manutenzione e aumentando l’ossigenazione dell’acqua.

Rispetto alle tradizionali reti di poliestere, poi, «quelle in rame sono più resistenti agli attacchi dei predatori e possono anche essere riciclate», precisa l’esperto. Un altro aspetto importante per il benessere animale è l’alimentazione. «Il mangime va somministrato nelle giuste quantità, in modo da evitare l’accumulo di sporcizia nelle vasche, e soprattutto deve essere fatto con ingredienti di qualità, sostenibili, a basso impatto ambientale e calibrati per le esigenze dell’animale», ricorda Capoccioni.


I vantaggi dell’acquacoltura bio

Lo stesso CREA, con il progetto di ricerca SUSHIN, ha testato 15 nuove formulazioni con farine ottenute da insetti, crostacei, microalghe e sottoprodotti della macellazione degli avicoli. Oltre agli ingredienti costitutivi, come proteine e acidi grassi, questi mangimi contengono anche ingredienti funzionali, come gli antiossidanti, che si sono dimostrati in grado di migliorare la salute dell’animale e le sue qualità organolettiche.

Del resto un pesce felice è un pesce più buono e sano, anche secondo la filosofia dell’acquacoltura biologica, che nel suo disciplinare proibisce l’utilizzo di antibiotici preventivi, sostanze chimiche e ormoni per la riproduzione.


La “foglia europea” è una garanzia

«L’acquacoltura bio è nata ufficialmente nel 2008 ma è ancora poco sviluppata in Italia», sottolinea il ricercatore del CREA. «Ci sono alcune realtà che iniziano a consolidarsi in Puglia, Calabria e Sardegna: producono principalmente branzini e orate e per le quantità ancora limitate riforniscono soprattutto i mercati locali. Sono invece più affermati gli impianti di molluschicoltura bio nel nord Adriatico, con una produzione che riesce ad arrivare nei supermercati».

Questi prodotti bio possono essere riconosciuti dalla classica “foglia europea” disegnata sull’etichetta, un simbolo che da quest’anno assume ancora più valore, perché l’entrata in vigore della nuova legislazione europea sul bio impone controlli ancora più stringenti.


Anche i pesci si vaccinano

La ricerca punta su vaccinazioni mirate per ridurre l’impiego di farmaci veterinari e rendere l’acquacoltura più rispettosa dell’ambiente e della salute umana.

«Attualmente esistono solo pochi tipi di vaccino autorizzati in Italia, ma si sta lavorando per svilupparne di nuovi, anche “su misura” del singolo allevamento, e per trovare vie di somministrazione che li rendano più efficaci e meno costosi», spiega Fabrizio Capoccioni, biologo del Centro di Zootecnia e Agricoltura del CREA.

L’utilizzo dei vaccini potrebbe ridurre la necessità di ricorrere agli antibiotici, i farmaci più utilizzati in acquacoltura. In Italia vengono usati solo se indispensabili nei pesci più giovani, sotto stretto controllo veterinario, per tempi limitati e molto distanti dal momento in cui gli animali vengono commercializzati, in modo da garantire l’assenza di tracce del medicinale nelle loro carni.


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