L’olio migliore per friggere il pesce? Quello extravergine di oliva. Lo dimostra uno studio spagnolo coordinato dalla dottoressa Bárbara Nieva-Echevarría, dell’Università dei Paesi Baschi, pubblicato sulla rivista scientifica Food Research International (sciencedirect.com).
I ricercatori hanno visto che se viene superato il cosiddetto punto di fumo (te ne accorgi perché dalla padella inizia a salire un vapore grigio) avvengono dei processi diossidazione che “danneggiano” i grassi (in particolare polinsaturi) non solo dell’olio (come già si sapeva), ma anche del pesce, portando alla formazione di acroleina, una sostanza tossica per il fegato.
Orate e branzini (le due specie prese in esame) non si limitano infatti ad assorbire le sostanze più o meno sane presenti nel tipo di olio usato, ma anche a cedere parte dei loro preziosi Omega 3 al liquido in cui sono immersi, impoverendosi e, al tempo stesso, aumentando le quantità di lipidi deteriorabili. Le conclusioni del team di ricercatori dell’Università basca?
Per cuocere a temperature elevate, no agli oli di semi che, essendo ricchi di polinsaturi, si alterano con facilità. L’olio extravergine d’oliva, al contrario, contiene quasi esclusivamente monoinsaturi, che resistono meglio. Inoltre, possedendo parecchi antiossidanti, bloccano sul nascere la formazione dell’acroleina.
Sul tipo di grasso da scegliere, dunque, non dovresti più avere dubbi. Ma per una frittura davvero sana (pesce o non pesce che sia) occorre fare attenzione anche ad altri particolari. Come ci spiega il professor Giovanni Lercker, dell’Università di Bologna.
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