Lo scorso 9 luglio è stato il “Fish Dependence Day”, ossia il giorno in cui simbolicamente l’Europa ha esaurito le proprie scorte di pesce per il resto dell’anno e che quindi segna l’inizio delle importazioni e della dipendenza dal pesce di altri Continenti.
A lanciare l’allarme è stato il Wwf, che denuncia anche lo stato in cui versano i mari: l’88% delle specie ittiche è sovrasfruttato. Dalla necessità di affrontare quest’emergenza è nato il progetto Fish Forward, cofinanziato dall’Unione Europea, che intende diffondere presso i consumatori la consapevolezza del problema.
Anche qui conta la stagionalità
«Ognuno di noi può fare la differenza compiendo le scelte giuste davanti al banco del pesce», spiega Eva Alessi, responsabile dell’iniziativa.
«Quali criteri seguire? Senza dubbio la stagionalità: conoscere quali sono i periodi giusti in cui acquistare una determinata specie consente di rispettare il suo ciclo vitale ed essere sicuri che si sia già riprodotta. Questa responsabilità sui consumi offre vantaggi per l’ambiente e il suo equilibrio, in più garantisce la qualità di ciò che mangiamo e anche un risparmio economico. Fai attenzione anche alla taglia del pesce esposto: gli esemplari troppo piccoli non si sono ancora riprodotti e non dovrebbero essere messi in commercio. Per esempio, un branzino non deve essere inferiore a 36 cm, la taglia minima di un’orata è di 20 cm, di una triglia di 12 cm».
Un altro criterio da seguire è orientarsi su specie meno conosciute e locali, così oltre alla sostenibilità si ha anche una maggiore garanzia di freschezza. «Chi è abituato a scegliere il tonno, che è una delle specie più sfruttate, potrebbe puntare sulla palamita», prosegue l’esperta del Wwf. «Il suo ciclo vitale è breve, quindi sopporta bene il prelievo di tipo commerciale. Ha carni sode, compatte e gustose, molto simili a quelle del tonno. E dal punto di vista nutrizionale è praticamente uguale».
Cosa mangiare adesso
Quali specie chiedere in pescheria e al ristorante in questo periodo? «Rimanendo nell’ambito locale e quindi nel Mediterraneo, oltre alla palamita ci si può indirizzare verso il muggine, o cefalo, le triglie del Tirreno e dell’Adriatico, il gambero bianco, conosciuto anche come gamberetto rosa», suggerisce ancora Eva Alessi.
In generale, poi, puntare su specie meno note è una scelta vincente: «Paradossalmente, infatti, delle centinaia che il mare ci mette a disposizione, solo poche trovano spazio sulla nostra tavola. Non perché le altre non siano buone, ma solo perché poco conosciute, o comunque sottovalutate nelle loro potenzialità di gusto e di salute», spiega il tecnologo alimentare Giorgio Donegani.
«Il grongo, l’alaccia, la boga, il cefalo, il pesce sciabola, il sugarello sono tutti ottimi pesci, gustosi e versatili in cucina oltre che molto nutrienti. Eppure, malgrado queste proprietà, vengono definiti specie “eccedentarie” perché poco richieste. Iniziare a conoscere questi pesci, imparare a cucinarli, richiederli in pescheria, è un modo per proteggere il patrimonio ittico e anche culturale di un luogo».
Pensiamo al sugarello, per esempio: diffuso nel Mediterraneo, appartiene alla famiglia dei pesci azzurri e, come per l’acciuga e lo sgombro, è possibile gustarlo al meglio soprattutto d’estate. «La particolare facilità con cui si riesce a spinare, ne fa una scelta ideale anche per i bambini», aggiunge Donegani.
Cerca le certificazioni
C’è un altro criterio da seguire quando acquisti il pesce: cercare quello con il marchio blu Msc (Marine Stewardship Council), che contraddistingue gli esemplari pescati in modo sostenibile e che tiene conto di tre aspetti fondamentali: la condizione degli stock ittici, l’impatto della pesca sull’ecosistema marino, il sistema di gestione della pesca, inclusi metodi e tipo di reti impiegate. Perché l’attrezzatura o il sistema usati (per esempio la pesca a strascico) può causare danni ai fondali e alla biodiversità.
«Acquistando il pesce con la certificazione Msc si è sicuri della sua sostenibilità, in tutti i passaggi della filiera, che sono tracciabili», spiega Eva Alessi. Discorso simile per pesci, molluschi e crostacei da acquacoltura: per avere la certezza che siano stati allevati rispettando l’ambiente, bisogna cercare il marchio Asc (Aquaculture Stewardship Council).
E per quanto riguarda il pesce surgelato e inscatolato? «Alcune importanti aziende hanno aderito alla certificazione Msc e Asc, per cui il marchio è facilmente individuabile sulla confezione», chiude l’esperta.
PESCE, GUIDA ALL'ACQUISTO
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Articolo pubblicato sul n. 33 di Starbene in edicola dal 30 luglio 2019