Danno pochissime calorie, aiutano a depurare l’organismo e ci regalano anche una buona quota di vitamine. Insomma: le insalate fanno un gran bene. A noi… Ma pensiamoci un attimo: quanta terra occorre per coltivare l’insalata? Senza dimenticare tutta l’acqua necessaria per irrigare il campo…
Come si vede, anche un alimento semplice e salutare come l’insalata nasconde un rovescio della medaglia, che si fa evidente se spingiamo solo un po’ lo sguardo oltre il nostro benessere personale e consideriamo quello dell’ambiente (in cui peraltro viviamo).
Proprio l’eccessivo consumo di suolo per l’agricoltura è infatti considerato uno dei maggiori problemi che minano la sostenibilità dell’intera produzione alimentare, soprattutto nella prospettiva di dover nutrire una popolazione mondiale che si calcola sarà di circa 10 miliardi nel 2050. Per fortuna, però, le idee per risolvere il problema non mancano e c’è chi ha già iniziato a metterle in pratica con successo, anche da noi in Italia.
L’agricoltura “fuorisuolo”
L’idea di base in sé è tanto stupefacente e rivoluzionaria da suonare irrealistica: coltivare senza terra. Invece non solo è possibile, ma anche facile e conveniente da realizzare. In fin dei conti alle piante per crescere non serve la terra, ma soltanto alcune sostanze che essa contiene, e allora perché non trovare il modo di fornirle ai vegetali con altri mezzi, in ambienti controllati, anche all’interno di strutture ed edifici, anziché nei campi tradizionali? È il principio di base su cui si fonda l’agricoltura “fuorisuolo”, che di anno in anno sta guadagnando sempre maggiori simpatie tra i produttori e i consumatori.
Secondo i primi dati disponibili, che saranno presentati in forma definitiva alla manifestazione NovelFarm, il 25 e 26 maggio 2022 a Pordenone, si stima che nell’anno appena trascorso l’agricoltura in ambiente controllato abbia mosso nel mondo un giro d’affari di oltre 4 miliardi di dollari solo in apparecchiature, lavoro e materiali consumabili.
Nemmeno la pandemia pare avere influito negativamente sull’interesse per la nuova agricoltura: secondo i dati di PitchBook, società di analisi del mercato degli investimenti in innovazione, nel periodo agosto 2020-agosto 2021, gli investimenti nell’indoor farming, hanno totalizzato 2,71 miliardi di dollari, ed è del dicembre scorso la notizia che la società tedesca Infarm ha raggiunto la valutazione di un miliardo, posizionandosi all’avanguardia in Europa.
Contadini o alpinisti? Le fattorie verticali
In effetti l’idea di un’agricoltura completamente diversa è nell’aria da qualche anno. Chi ha avuto occasione di visitare l’EXPO 2015 di Milano forse ricorderà la vista suggestiva degli orti verticali che tappezzavano di verde le pareti del padiglione di Israele. È lì che nacque nel 2006 l’azienda Vertical Field, proprietaria di una tecnologia che permette di coltivare lattuga, basilico, prezzemolo, cavolo riccio e altri prodotti verticalmente, sulle pareti di contenitori progettati per consentire alle verdure di prosperare su un letto di terriccio ricco di sostanze nutritive.
Si tratta in sostanza di applicare all’agricoltura lo stesso principio che ha spinto a costruire i grattaceli: sviluppare l’ambiente in verticale dove non ci sono grandi estensioni di terreno. Gli orti in verticale permettono però di realizzare altri vantaggi oltre al risparmio di spazio: all’insegna non più del chilometro zero, ma addirittura del “metro zero”, la stessa Vertical Field ha di recente firmato un accordo con Rami Levy, la più grande catena di supermercati israeliani, per impiantare orti urbani verticali in decine di punti vendita in modo che i clienti possano acquistare lì le loro verdure, freschissime, appena raccolte.
Nutrimento dall’aria: la coltivazione aeroponica
Se gli orti israeliani di Vertical Field utilizzano comunque una sorta di terra per la crescita delle piante, è per certi versi ancora più interessante l’esperienza degli orti verticali dell’americana AeroFarms che ha aperto recentemente due fattorie verticali nella città di Newark, nel New Jersey, per produrre insalate completamente senza terra. AeroFarms ha realizzato le sue fattorie verticali in una ex-acciaieria e in una vecchia arena da paintball e laser tag, dove non arriva nemmeno il sole, utilizzando per la coltivazione il sistema “aeroponico”. Consiste in questo: le insalate crescono sui ripiani di scaffali che si sviluppano in altezza su sette livelli.
A ogni livello, le piantine vengono seminate su un tessuto particolare e riutilizzabile, attraverso il quale le fitte radici che si sviluppano raggiungono un’area sottostante dove viene vaporizzata una soluzione di acqua e sali minerali, a creare una specie di ‘nebbia’ dalla quale prendono il nutrimento. La luce sopra le piantine arriva da una serie di LED posta a illuminare ogni ripiano e il sistema è così efficiente che, variando la quantità di luce e nutrienti, si può persino modificare il sapore delle foglioline, rendendole più gustose e dolci.
I vantaggi delle fattorie verticali
Certo, per chi è ancorato all’immagine bucolica dei campi coltivati e degli orti, l’idea delle fattorie verticali può sembrare artificiosa e innaturale, ma i vantaggi che realizzano sono tanti. Per quanto riguarda il risparmio di suolo, un sistema a livelli come quello di AeroFarms permette di ridurlo anche del 99% rispetto all’agricoltura convenzionale, ed elimina completamente anche la necessità di ricorrere a fertilizzanti.
Inoltre, si risparmia sino al 95% di acqua e non è da sottovalutare nemmeno il fatto che, coltivando in ambienti chiusi e controllati, si riesce a impedire l’accesso a insetti e infestanti, così che non c’è bisogno di usare pesticidi né fitofarmaci. Infine, un vantaggio determinante è che nelle fattorie verticali di questo tipo si può produrre verdura fresca tutto l’anno, senza dipendere dalle stagioni e dagli umori del clima.
La cosa più importante, però, è nel fatto che la coltivazione verticale potrebbe essere una via per ridurre radicalmente il peso delle città sull’inquinamento dell’ambiente. Le fattorie verticali, potendo sfruttare spazi cittadini chiusi e inutilizzati, potrebbero trasformare le città da luogo dove si ci si limita a consumare ciò che viene da fuori a spazio dove si producono vegetali, e anche in grande quantità, col risultato duplice di ridurre la necessità di trasporti dalle zone rurali (meno inquinamento e spreco di energia) e di impiantare tra i quartieri veri e propri “polmoni verdi” che contribuirebbero a ridurre la dannosa presenza di anidride carbonica nell’atmosfera.
La coltura idroponica: coltivare sull’acqua
Diversa dalla coltura aeroponica, ma anch’essa completamente senza terra, la coltura idroponica è un’altra tecnica decisamente interessante e sempre più praticata. Come si intuisce dal nome, non prevede il contatto delle piante con il terreno, ma direttamente con l’acqua.
Viene attuata con sistemi per cui le piantine, sostenute con varie tecniche (per esempio su supporti inerti come l’argilla soffiata), portano le radici a contatto di acqua nella quale sono disciolte le necessarie sostanze nutritive (uno schema comune è quello che vede le piantine sospese in vasche, all’interno di grandi serre).
Rispetto all’agricoltura in campo, l’idroponica garantisce rendimenti anche 5 volte maggiori, consuma il 90% in meno di acqua (quella che si usa viene continuamente riciclata), e può essere impiantata anche vicino alle città, in spazi inadatti alla coltivazione tradizionale come zone aride o terreni ormai esausti. Anche in questo caso, essendo praticata fuori dal suolo, questa coltura non comporta il rischio che le piante subiscano danni dai parassiti che vivono nella terra e nemmeno che crescano erbacce o piante indesiderate.
La coltura acquaponica: un equilibrio perfetto
Parente stretta della idroponica, anche la coltura acquaponica è senza terreno e prevede il contatto diretto delle piante con l’acqua, ma va ancora oltre sul piano della sostenibilità. Sfrutta infatti l’aiuto dei naturali abitanti dell’acqua: i pesci.
In pratica si realizza un sistema di vasche dove convivono la coltivazione delle piante e l’allevamento dei pesci, così da realizzare un ciclo virtuoso perché, grazie all’azione di particolari batteri, l’ammoniaca che si trova negli escrementi dei pesci viene trasformata in nutrimento delle piante che a loro volta purificano l’acqua per i pesci: i classici due piccioni con una fava… E i vantaggi di questa tecnica sono persino maggiori di quelli che si hanno con l’idroponica: produzioni ancora più elevate, meno minerali da aggiungere, nessuno spreco d’acqua e… secondo e contorno garantiti in un colpo solo.
I limiti da superare
Allo stato attuale gli orti verticali non sono adatti alle piante che tendono a svilupparsi molto in altezza e larghezza. E anche ragionando sulle serre in idroponica e acquaponica è difficile immaginare estensioni di grano e mais sospese in vasche dentro grandi capannoni (pensiamo solo a come sarebbe difficile la raccolta…). Il progresso però continua e chissà che, imboccata la strada giusta, non corra anche più velocemente che in passato…
Home farming, perché non provare?
In attesa che le nuove agricolture prendano piede in città, perché non iniziare a sperimentarle in casa propria? È facile e dà grande soddisfazione, anche a chi non ha proprio il pollice verde. Basta digitare “coltura idroponica in casa” e Google ci restituisce subito una lunga serie di proposte per realizzare nel modo più efficace il nostro orto domestico. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutte le tasche ed esigenze di spazio: da impianti completamente automatizzati capaci di assicurarci le nostre insalate per tutto l’anno a soluzioni più modeste ed economiche per provare comunque a sperimentare, divertendosi, l’agricoltura del futuro.