GLI INQUINANTI, SPECIE PER SPECIE
Dal punto di vista della sicurezza (cioè dell’assenza di sostanze tossiche) non si può dire con certezza che un metodo di produzione dia maggiori garanzie di un altro. Di sicuro il pesce pescato non conterrà mai residui di farmaci (cosa che può accadere, per esempio, con le orate e i branzini d’allevamento), ma inquinanti (chimici o organici) presenti nel mare, questo sì.
In particolare: i salmoni (e gli esemplari grassi in genere) possono essere stati contaminati da organoclorurati (tra cui la diossina); pesce spada e tonno (i grandi predatori) dal mercurio; i molluschi bivalvi, che filtrano l’acqua nella quale vivono, da germi (salmonella, escherichia coli, virus dell’epatite A).
I molluschi cefalopodi (piovre, calamari, totani, seppie) dal cadmio (un metallo pesante che queste specie tendono ad accumulare); sgombri, tonni e tonnetti dall’istamina (le proteine di questi pesci, infatti, contengono un aminoacido, l’istidina, che per l’azione di alcuni microrganismi presenti nel mondo acquatico può trasformarsi in questa sostanza, responsabile di reazioni allergiche anche gravi).
Come evitare rischi? Contro virus e batteri funziona la cottura. Se però ami il pesce crudo, ricorda che l’unico modo davvero efficace per “disarmare” i parassiti (come l’anisakis) è l’abbattimento termico: nei ristoranti viene effettuato con appositi macchinari. In casa, invece, devi congelare il pesce per almeno 96 ore a -18 °C prima di portarlo in tavola.
Quanto agli inquinanti chimici, invece, la soluzione è una sola: varia il più possibile il tipo di pesce che porti in tavola. Così non supererai il limite di tolleranza (che significa quantità così basse da non poter nuocere alla salute) fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità per tutte le sostanze riconosciute come tossiche.