di Marzia Nicolini e Roberta Piazza
Sono tutti grassi, ma c'è una bella differenza tra quelli saturi (dannosi per il cuore e le arterie se consumati in eccesso) e monoinsaturi (che al contrario agevolano il regolare scorrimento del sangue). Inoltre, devi sapere che anche all'interno di queste grandi categorie vanno fatte distinzioni importanti.
La più nota è quella tra Omega 6 e Omega 3, entrambi appartenenti alla famiglia dei polinsaturi sebbene abbiano effetti diversi (se non addirittura opposti) sulla nostra salute. Vediamo allora di fare chiarezza con la consulenza dei nostri esperti, cercando anche e soprattutto di capire come sfruttarli al meglio per il nostro benessere.
E senza demonizzarne nessuno, perché un'altra indicazione da tenere sempre presente è che ci servono, ovviamente nelle giuste dosi, tutti i tipi di grassi. Per prima cosa, cerchiamo proprio di capire quali sono i fattori che li rendono diversi gli uni dagli altri...
Con la struttura cambia anche la resistenza a luce e calore
«A determinare le differenze è principalmente il legame tra gli atomi di carbonio e quelli di idrogeno che costituiscono la loro molecola», spiega il professor Benvenuto Cestaro, biochimico e direttore della Scuola di specializzazione in Scienza dell'alimentazione dell'Università statale di Milano.
«In quelli saturi gli atomi di carbonio (variabili da 4 a 24) sono legati a 2 di idrogeno ciascuno, formando una struttura molto stabile, che resiste all'attacco dei radicali liberi e non si altera nemmeno se sottoposta a temperature elevate. In quelli monoinsaturi, invece, un atomodi carbonio (ce ne possono essere da 14 a 22) è unito a un solo atomo di idrogeno.
La molecola è così un po' più “fluida”, resiste bene al calore, non troppo all'ossidazione. Nei polinsaturi, infine, gli atomi di carbonio costretti a rimanere single possono essere anche 6. Meno atomi di idrogeno ci sono, più la struttura è "fragile” e si deteriora con facilità sia per l'azione dei raggi solari, sia per quella delle alte temperature».
Alcuni grassi saturi sono particolarmente cattivi
L'ultimo studio che ha messo sul banco degli imputati i grassi saturi è durato 30 anni ed è stato recentemente pubblicato sul British Medical Journal. Realizzato dai ricercatori della Harvard University di Boston, ha analizzato le abitudini alimentari di 73 mila donne e 42 mila uomini arrivando alla conclusione che un eccessivo consumo di questi grassi favorisce la comparsa di disturbi cardiovascolari. Ma non solo.
Gli studiosi americani hanno anche visto che il rischio di ammalarsi diminuiva di più quando a essere sostituito con lipidi mono o polinsaturi era l'acido palmitico, presente in quantità elevate nell'olio di palma (41,21% del peso), nel burro (20,86%), nei formaggi, nei salumi, nel tuorlo d'uovo. Una conferma indiretta che, contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, i grassi saturi non sono tutti uguali. Insieme al palmitico, il più pericoloso è il miristico, presente in tutti i cibi di origine animale appena citati.
Altri non entrano neppure nel circolo sanguigno
Ci sono poi alcuni acidi grassi che non concorrono all'intasamento delle arterie perché vengono trasformati velocemente nel monoinsaturo acido oleico (come nel caso dello stearico del cioccolato fondente) o non entrano neppure nel flusso sanguigno perché vengono subito digeriti dal fegato (come succede al laurico del cocco, che ha anche un'azione antinfiammatoria) o come quelli a catena corta (7,82% del peso nel burro) che si sciolgono nell'acqua presente nel sangue e, quindi, non si accumulano.
«Non va poi dimenticato che i grassi saturi hanno anche funzioni positive. Favoriscono l'utilizzo della vitamina D e, di conseguenza, il deposito di calcio nelle ossa. E in più danno solidità alle membrane cellulari, che sono costituite da proteine e lipidi.
L’importante è rispettare le dosi consigliate dalla Società italiana di nutrizione umana (Sinu), secondo la quale i grassi saturi devono fornire meno del 10% delle calorie giornaliere», afferma Diana Scatozza, medico dietologo, che ha anche pensato il menu giornaliero qui a destra.
L'acido oleico è il migliore dei grassi monoinsaturi
Tipico dell'olio d'oliva (ne rappresenta il 72-74% del peso), è presente anche nella frutta secca (in particolare nelle mandorle), nel cioccolato, persino nel burro (20,68 g in un etto) e nei salumi. «Come tutti i grassi monoinsaturi svolge un ruolo fondamentale nel mantenere fluide le membrane cellulari, condizione indispensabile per consentire il passaggio di acqua, minerali e vitamine e bloccare quello delle tossine», precisa il professor Benvenuto Cestaro.
«Con il passare degli anni il “rivestimento” delle cellule tende inevitabilmente a irrigidirsi, condizione che peggiora se si segue una dieta eccessivamente ricca di grassi saturi e colesterolo. La conseguenza? Le scorie prodotte nell'intestino hanno libero accesso all'interno delle cellule, causano infiammazione e alterano la capacità di sintesi delle proteine, che servono poi per produrre anticorpi, fibre muscolari, globuli rossi eccetera.
Inoltre i mitocondri, che hanno il compito, tra i tanti, di “rivitalizzare” gli antiossidanti (consentendo per esempio a una molecola di vitamina E di essere utilizzata miliardi di volte) diventano meno efficienti lasciandoci più esposti agli attacchi dei radicali liberi». Un motivo in più per usare (alle giuste dosi) l'olio extravergine sia crudo sia cotto.
Polinsaturi: occhio al rapporto tra Omega 6 e Omega 3
In entrambi i casi si tratta di acidi grassi essenziali, definiti così perché il nostro organismo non è in grado di produrli da solo e quindi devono essere necessariamente assunti con la dieta. Sono molto fluidi e si alterano (ovvero si irrancidiscono) con estrema facilità: vanno perciò protetti sia dalla luce, sia dal calore.
L'olio di semi di lino è il più instabile in assoluto, va addirittura conservato in frigorifero e usato esclusivamente a crudo. «Insieme alle noci, è la principale fonte di Omega 3 per chi segue un'alimentazione vegetariana», afferma la dottoressa Scatozza. «Chi mangia di tutto può invece farne scorta puntando sul pesce azzurro, il tonno o il salmone.
I benefici degli Omega 3 sono stati verificati da diversi studi: riducono l'infiammazione, fluidificano il sangue agendo come un farmaco antiaggregante, migliorano il tono dell'umore, mantengono le membrane cellulari elastiche e, stando alle ultimissime ricerche, sembra che giovino anche alla fertilità».
Attenta invece al consumo di Omega 6: «Se ne abusi o non li controbilanci con gli Omega 3 (il loro rapporto dovrebbe essere di 3 a 1) scatenano l'infiammazione e aumentano il rischio di irrigidimento delle pareti delle arterie e, nei maschi, di sviluppo del tumore alla prostata», mette in guardia la dottoressa Scatozza. Il più "pericoloso” tra gli Omega 6 è l'acido arachidonico, presente nei cibi di origine animale. Da non dimenticare, infine, che i grassi polinsaturi vengono utilizzati dall'organismo per la sintesi dei neurotrasmettitori.
Se hai il colesterolo alto non è sempre colpa della dieta
L'80% del colesterolo è prodotto direttamente dal fegato, solo il 20% viene assunto mangiando cibi di origine animale (è infatti completamente assente negli alimenti vegetali) come formaggi, salumi, carne, pesce, uova.
«Un livello troppo basso di colesterolo (inferiore ai 130 mg per decilitro di sangue) è più dannoso di un suo leggero eccesso (il limite da non superare è di 200 mg/dl). Viene infatti utilizzato per la produzione degli ormoni sessuali e surrenalici, per la sintesi della vitamina D, per il mantenimento della fluidità delle membrane cellulari.
Da tenere sotto controllo è soprattutto quello Ldl (o cattivo) che tende a depositarsi sulle pareti delle arterie e deve essere inferiore a 100 mg. Quello buono (Hdl), che con l'età tende a diminuire, deve invece superare i 60 mg», conclude la nostra dietologa.
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Articolo pubblicato sul n. 23 di Starbene in edicola dal 23/5/2017