Per chi ha qualche chilo di troppo, è la madre di tutte le scuse: “Ho il metabolismo lento”. Una giustificazione che va piuttosto di moda, ma di cui spesso non si conosce il reale significato.
Premesso che il metabolismo (dal greco metabolé, cambiamento) è l’insieme delle trasformazioni chimiche che avvengono nell’organismo per convertire in energia quello che mangiamo e beviamo, la sua lentezza corrisponde a una minore velocità con cui il corpo “brucia” le calorie assunte. «Questo si traduce in un accumulo di grasso e nella maggiore difficoltà a perdere peso», spiega il professor Luca Miele, epatologo dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, direttore dell’UOS Clinica del pre-trapianto di fegato e responsabile degli ambulatori di pre-trapianto e della steatosi epatica presso il CEMAD (Centro Malattie Apparato Digerente) della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS - Università Cattolica del Sacro Cuore.
«A queste ripercussioni sul peso corporeo possono sommarsi altre conseguenze, come un senso di forte stanchezza, intestino “pigro”, gonfiore addominale, sensibilità al freddo o secchezza della pelle, tanto per citare le principali».
Ma quali sono le principali cause del metabolismo lento? Eccole.
• Microbiota intestinale
Ciascuno di noi ha un metabolismo diverso, per cui possiamo “fisiologicamente” bruciare più o meno calorie rispetto a quelle che introduciamo mangiando. Tra i vari fattori che influenzano questa peculiarità individuale c’è il microbiota intestinale.
«Il cibo viene digerito grazie agli enzimi prodotti da fegato e pancreas, ma ci sono anche batteri nell’intestino che contribuiscono alla digestione ed estraggono più o meno rapidamente le calorie dagli alimenti e le processano: un corretto equilibrio del microbioma intestinale consente un’efficienza maggiore; al contrario, se si altera in maniera qualitativa o quantitativa questa condizione di equilibrio, si potrebbe avere una maggiore predisposizione a mettere su peso», racconta il professor Miele.
• Mancanza di attività fisica
Siccome il metabolismo è strettamente correlato al dispendio energetico quotidiano, cioè alla quantità di energia consumata dal corpo durante il giorno, la sedentarietà può rallentarlo.
«Non dimentichiamo che la massa muscolare è un tessuto metabolicamente attivo, ovvero consuma calorie, molte di più rispetto al tessuto adiposo. Di conseguenza, un decremento del muscolo finisce per rallentare anche il metabolismo», avverte l’esperto. «È sufficiente camminare 30-40 minuti al giorno, possibilmente all’aria aperta, approfittando di qualsiasi occasione per fare movimento: usare le scale al posto dell’ascensore, fare giardinaggio, evitare l’uso dell’auto, allungare il percorso a piedi casa-ufficio e così via».
• Età
L’inappetenza è un segno piuttosto comune fra gli anziani e, fra i motivi del minore appetito, c’è proprio il rallentamento del metabolismo. Pare che la “frenata” inizi già intorno ai 20 anni, seppure in maniera impercettibile, per poi diventare più evidente soprattutto dopo i 60 anni.
• Dieta poco equilibrata
L’alimentazione riveste un ruolo fondamentale per la qualità del metabolismo. «Per evitarne un rallentamento, bisogna ridurre i grassi saturi e gli zuccheri semplici, privilegiando frutta ma senza eccedere, verdura, cereali integrali e proteine nobili. Ancora una volta, il classico schema mediterraneo è quello vincente», assicura il professor Miele.
«Al contrario, non esistono evidenze scientifiche di rilievo che mostrino la capacità di qualche integratore o rimedio naturale di velocizzare il metabolismo».
• Squilibri ormonali
«Un altro elemento che può influenzare il nostro metabolismo sono gli ormoni, in particolare quelli regolati dalla tiroide», aggiunge il professor Miele. «Una carenza di ormoni tiroidei può rallentare notevolmente i processi metabolici e favorire l’aumento di peso».
In queste condizioni, è consigliabile evitare piatti troppo elaborati o molto ricchi di grassi idrogenati, burro, margarina e oli vegetali di origine non nota (diversi da quelli di oliva), limitando anche il consumo dei cibi che apportano sostanze in grado di interferire con il metabolismo dello iodio, riducendone la disponibilità per l’organismo, come cavoli, broccoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, semi di rapa, patate dolci, fagioli di lima, soia, miglio perlato, caffeina, mandorle, arachidi e pinoli.
Al contrario, si possono assumere i pesci d’acqua salata, le acciughe, le vongole, le cozze, le ostriche e poi cereali integrali, uova, banane, ananas, fragole, ribes nero, noci di cocco, patate, radicchio, barbabietola, prezzemolo, semolino, lattuga, spinaci, pomodori, asparagi, carote, funghi, piselli, yogurt magro, latticini, fegato, cioccolato e fiocchi di avena, meglio se crudi e integrali, da consumare a colazione. «Per alcuni di questi alimenti, comunque, bisogna sempre verificare che non vi siano altre condizioni cliniche che potrebbero limitarne l’uso».
• Fegato grasso
Metabolismo e fegato hanno un rapporto vicendevole: quando il primo rallenta, i grassi si accumulano a livello della circonferenza addominale e all’interno del fegato; allo stesso tempo, l’accumulo di grassi a livello epatico rallenta ulteriormente il metabolismo.
«È normale che fra gli epatociti, cioè le cellule del fegato, vi sia una piccola quota di grasso, necessario per le funzioni di questo organo. Quando, però, il peso di questo grasso supera il 5 per cento del peso complessivo del fegato, si parla di steatosi epatica. Talvolta, in una piccola percentuale di persone che hanno il fegato grasso, questa condizione scatena un’infiammazione cronica che può portare fibrosi epatica fino alla cirrosi e alle sue possibili complicanze, come scompenso e tumori epatici primitivi», conclude il professor Miele. «Anche per questo, è opportuno seguire un regime alimentare che rifletta i principi della dieta mediterranea ed evitare la sedentarietà».
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