Possiamo smettere di ammalarci di diabete?

La risposta è sì. Grazie a menu poveri di grassi saturi e zuccheri. Allo sport. E a controlli mirati, fin da piccoli. E intanto arriva un nuovo farmaco



di R. Briganti e R. Piazza

C’è una novità per tutti coloro che soffrono di diabete di tipo 2 (quello alimentare), che insorge in genere dopo i 45 anni. Da poche settimane  sono arrivate in farmacia tre molecole, capostipite di una nuova classe di farmaci.

«Si chiamano dapaglifozin, canaglifozin e empaglifozin e inaugurano un meccanismo d’azione completamente diverso dalle altre impiegate per la cura di questa malattia», spiega il professor Antonio Ceriello, presidente della Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi).

«Sono state, infatti, battezzate con il nome di “SGLT-2 inibitori” perché, a differenza dei farmaci che agiscono sull’insulina o sui suoi recettori, vanno a monte del problema. Bloccano il riassorbimento del glucosio a livello dei reni in quanto inibiscono l’enzima SGLT-2, responsabile di questo processo. I livelli di glucosio nel sangue, quindi, rimangono bassi. Così la glicemia non s’impenna ma “rientra” nella norma».

Prevenire è meglio che curare
Il diabete, infatti, è in continuo aumento. Secondo i dati Istat hanno questa malattia più di 3 milioni e 200.000 italiani (quasi un milione in più rispetto a dieci anni fa). Con ricadute  economiche non indifferenti. Il costo per farmaci e ricoveri è stimato in circa 11 miliardi di euro, pari al 10% dell’intera spesa del servizio sanitario nazionale. E non è tutto.

Secondo il Rapporto degli esperti della banca d’investimenti Morgan Stanley dal titolo The bitter aftertaste of sugar (“Il retrogusto amaro dello zucchero”), il diabete (insieme all’obesità che rappresenta uno dei suoi principali fattori di rischio) non è solo una voce di spesa che grava sul bilancio dello Stato, ma anche un elemento che gioca contro la crescita di un Paese. Vediamo dunque cosa possiamo fare con i consigli della dottoressa Maria Chantal Ponziani, che ha coordinato la redazione degli standard di cura AMD/SID (Società Italiana di Diabetologia).

Dieta + movimento: l’abbinata vincente
Per prevenire il diabete la cosa fondamentale è mantenere un peso normale. Per valutare in modo obiettivo il “numero” che compare sulla bilancia basta calcolare l’Indice di Massa corporea, dividendo il peso (espresso in chili) per il quadrato dell’altezza (in metri). Per esempio, se pesi 60 chili e sei alta 1,62 metri devi eseguire un semplice calcolo: 60:(1,62x1,62)=22,86. Questo valore va poi valutato. È ok tra 18,5 e 24. Tra 24 e 30 indica che sei sovrappeso e oltre 30 che sei obesa.

La prima cosa, dunque, è capire qual è il tuo fabbisogno calorico, con l’aiuto di un medico dietologo. «E poi prestare attenzione alla composizione del menu. Deve sempre prevedere una prevalenza di carboidrati a basso indice glicemico, quelli che fanno innalzare meno la glicemia, come i cereali integrali. Vanno invece limitati i carboidrati a rapido assorbimento (in sostanza i dolci, la frutta e il latte, che contengono zuccheri semplici) e i grassi saturi. Ok poi alle verdure e ai legumi, ricchi di fibre. È fondamentale, infine, che la dieta sia associata all’attività fisica.

 

Lo stile di vita funziona più dei farmaci
«Lo studio Diabetes Prevention Program (DPP) ha dimostrato che, in soggetti predisposti alla malattia, migliorando l’alimentazione e l’esercizio fisico il rischio di avere il diabete si dimezza, mentre con una terapia a base di metformina (abitualmente il primo farmaco ipoglicemizzante prescritto per la cura del diabete) si riduce solo del 30%», spiega la dottoressa Ponziani.

«Basta camminare 30 minuti al giorno 4-5 volte alla settimana, fare le scale a piedi, insomma avere un atteggiamento attivo per prevenire il diabete», afferma la diabetologa. «Se poi riusciamo a programmare un’attività fisica più strutturata ben venga. Gli studi più recenti hanno dimostrato che l’ideale è effettuare attività aerobica tutti i giorni e aggiungerne una anaerobica (come gli esercizi con i pesi) due volte alla settimana».

L’età giusta per il check-up
«I programmi di screening sono rivolti alle persone che sono in sovrappeso od obese, hanno genitori o fratelli diabetici, hanno avuto la malattia in gravidanza o hanno partorito un neonato di oltre 4 chili, hanno la pressione troppo alta, trigliceridi elevati e colesterolo HDL molto basso. E vale anche per i bambini e gli adolescenti che hanno almeno due di questi fattori di rischio», precisa la dottoressa Ponziani. «Per tutti gli altri italiani il check-up è consigliato a partire dai 45 anni».

I test da fare
- l’emoglobina glicata «È un esame del sangue che dà un’idea del livello medio di glicemia nei 2-3 mesi precedenti al test»  precisa la dottoressa Ponziani. «L’emoglobina si lega agli zuccheri in modo maggiore o minore in base alla presenza di questi nutrienti, formando l’emoglobina glicata, una nuova proteina che non è in grado di veicolare l’ossigeno ai tessuti con la stessa efficacia. La diagnosi di diabete si fa con due valori superiori a 6,5%, ma se il risultato si colloca in un’area grigia tra il 6 e il 6,4% potrebbe indicare una malattia misconosciuta o una predisposizione al diabete».

- la curva da carico orale di glucosio
«Consiste in due prelievi di sangue: uno fatto prima di prendere 75 g di glucosio e un altro a distanza di due ore dall’assunzione. Anche questo esame può portare alla diagnosi di diabete o di quelle condizioni che possono predisporre alla malattia, come l’elevata glicemia a digiuno (se i valori sono compresi tra 100 e 125 mg/dl) o l’alterata tolleranza ai carboidrati (quando il livello di zuccheri nel sangue, nel secondo prelievo, è compreso tra 144 e 199 mg/dl)», conclude l’esperta.

Articolo pubblicato sul n.24 di Starbene in edicola dal 02/06/2015

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