Una ricerca pubblicata recentemente dall’Università di San Diego sostiene che gli adolescenti diventano adulti sempre più tardi: «I diciottenni di oggi equivarrebbero ai quindicenni di 30 anni fa», sostiene Jean Twenge, autrice dello studio.
«Tra i responsabili del fenomeno ci sarebbe una vita troppo agiata e l’influenza di Internet». Non sono attratti dalle trasgressioni: niente sesso né alcol. E non hanno alcuna voglia di entrare nel mondo del lavoro, o di imparare a guidare.
Ma questa istantanea dell’Igeneration è davvero così catastrofica? Lo abbiamo chiesto a Matteo Lancini, psicoterapeuta e docente di psicologia all’Università di Milano-Bicocca.
«In realtà, nonostante gli adolescenti oggi escano di casa e diventino autonomi più tardi, non significa che siano immaturi.
Potremmo definirli diversamente adulti. Quello che stiamo osservando, anche alla luce di ciò che è emerso al XII convegno Agippsa (Associazione dei gruppi italiani di psicoterapia psicanalitica dell’adolescenza di cui sono presidente) appena conclusosi all’università di Milano Bicocca, è che questi ragazzi in realtà hanno moltissime qualità».
«Obbligati a una socializzazione forzosa (doposcuola, feste, saggi, attività sportive) fin da piccoli, sono superesperti di relazioni: per esempio sono più sensibili ed empatici rispetto ai loro coetanei di un tempo, proprio perché sono più abituati a stare in gruppo. Non solo: sono anche nativi digitali, molto competenti su app e videogiochi e, ovviamente, maghi di Internet», continua lo psicoterapeuta.
Sono capaci di sviluppare idee geniali in progetti concreti, riuscendo a farsele finanziare grazie all’aiuto della rete (utilizzando per esempio il crowdfunding, la raccolta di fondi via web più popolare del momento). Ma vengono anche influenzati da mode e attività di marketing, a 8 anni si vestono come a 18, e recitano a memoria pubblicità e gingle.
Il punto debole
«Questo ingresso anticipato nel mondo dei consumi, da un lato li fa sentire grandi, ma dall’altro li rende più paurosi e insicuri», continua l’esperto.
Questo perché hanno meno autonomia (vengono accompagnati e ripresi a ogni piè sospinto) e sono continuamente controllati.
La mamma “virtuale” che, grazie a un telefono o a una videocamera, tutto vede e controlla, ha preso il sopravvento su quella “corporea”, reale e affettiva.
«Questa iperprotezione sovente li rende meno capaci di affrontare un fallimento scolastico, o una sconfitta sportiva o un fisico diverso da quello proposto dai media», spiega ancora Matteo Lancini.
«Ma non c’è niente di drammatico: basta che i genitori offrano semplicemente un benevolo sguardo di ritorno, allenandosi ad amare un figlio per quello che è. E valorizzandone le qualità uniche e irripetibili», conclude il docente di psicologia. Così tutti diventano “grandi”.
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