Il piacere di giocare da grandi

Giocare: non lo facciamo solo noi, ma anche gli animali, cuccioli ma anche adulti che siano. Tutti. Ma perché specie da piccoli siamo così attratti dal gioco? Ce lo spiega Giuseppe Maiolo, psicanalista, autore del libro “Mamma, che ridere”. Da bambini è quasi un’esigenza biologica indispensabile, un desiderio innato quello che abbiamo verso il gioco, probabilmente lo strumento più importante che abbiamo per dare e ricevere stimoli e per usare la fantasia. Bastava un attimo per creare un mondo alternativo, meraviglioso e impossibile, che ci portava lontano, a contatto con modi diversi di essere e di agire. Peccato che poi crescendo si perda lo stesso gusto per il gioco: una volta varcata la soglia della maturità il gioco smette di essere l’essenza, il filo conduttore della realizzazione personale e subentra la componente razionale che addirittura spinge molti di noi adulti a mostrarsi infastiditi di fronte al gioco. Proprio nel suo libro, il professor Maiolo spiega come sintonizzarci sulla capacità dei nostri figli di crescere attraverso l'apprendimento ludico. Non è detto che si debba essere tutti tipi da “parco avventura”, basta non perdere il desiderio di saper ridere, stupirsi, provare curiosità e sperimentare con spontaneità. Per farlo basterebbe cercare di ricordare con chi giocavamo, a che cosa e come ci faceva sentire; da adulti potremmo ripetere quelle esperienze attraverso le nostre passioni. Giocare aiuta anche a saper stare con gli altri, insegna a tollerare le frustrazioni, insegna a essere leali, sviluppa altruismo e cooperazione. Numerosi studi e ricerche hanno dimostrato anche che il gioco aiuta anche nella realizzazione professionale, come ci spiega Ennio Peres, scrittore, enigmista e autore di giochi. Chi gioca, non a caso, rimane giovane più a lungo. Da uno studio della Mayo Clinic di Scottsdale, condotto su 2mila adulti con un’età minima di 70 anni, è emerso che impegnarsi in giochi mentalmente stimolanti è uno dei modi migliori per mantenere integro il proprio livello cognitivo e ridurre il rischio di patologie legate all'invecchiamento. Non a caso il noto scrittore e drammaturgo irlandese George Bernard Shaw diceva “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”.